Forse il nome di Phil Palmer non è molto conosciuto fra gli appassionati di musica rock. Questo si deve al fatto che ha vissuto una lunga carriera musicale dietro le quinte, in qualità di “Session Man” per l’appunto, come anticipa il titolo di questo libro, molto interessante e ben scritto.
Un testo autobiografico che racconta la storia di questo chitarrista di talento che però è sempre vissuto all’ombra di grandi “rock star” internazionali. Nato a nord di Londra nel 1952, nel quartiere di Muswell Hill, è cresciuto a stretto contatto con i fratelli Davies, che sarebbero poi diventati i Kinks.
Era il loro nipote e quando nel 1964 venne pubblicato “You Relly Got Me”, il primo singolo di successo della band, Phil venne folgorato da quel modo di fare musica, così nuovo e inebriante. Imparò ben presto a suonare la chitarra, rimase catturato dalle note di “Badge”, di un altro grande chitarrista dell’epoca come Eric Clapton, dei Cream, personaggio di cui subì l’influenza e rimase come continua fonte di ispirazione. Con il passare del tempo Phil Palmer diventa un vero e proprio virtuoso della chitarra, ma non si impose mai come artista solista. Lo ricordiamo affiancare gli Swing Out Sisters e Howard Jones negli anni Ottanta e poco più tardi con Paul Brady, un cantautore irlandese con cui si esibiva spesso nel circuito dei club londinesi. In seguito venne convocato sempre più frequentemente da case discografiche e produttori che lo apprezzavano per quella sua capacità innata di interpretare quelle idee e quei concetti musicali che gli stessi musicisti non riuscivano a trasformare in sonorità ben precise. Arrivò poi a suonare con Frank Zappa, un musicista geniale, ma molto esigente e - all’epoca del “glam rock” - con David Bowie e Iggy Pop. Molto bello il ricordo di quando David Bowie gli chiese di andare a farsi una passeggiata serale per i club di Wardour Street, nel quartiere di Soho, a Londra, e di ascoltare attentamente la musica che usciva fuori da quei locali: il giorno dopo avrebbe dovuto riprodurla in studio di registrazione! Va ricordato che negli anni Settanta affittare una sala di incisione era una operazione molto costosa e quindi non si poteva perdere troppo tempo con le prove. Un “session man”, un turnista, come Phil Palmer, doveva quindi imparare in fretta una partitura musicale ed eseguirla con precisione nel più breve arco di tempo possibile.
Phil Palmer si ritrovava spesso a lavorare con un gruppo di lavoro ristretto, sempre gli stessi musicisti, perché ai produttori non piaceva troppo cambiare squadra. Preferivano un “team” che fosse al tempo stesso affiatato e affidabile. Nuovi incontri e nuove avventure aspettavano ancora Phil Palmer che si ritrovò a suonare per George Michael e con i Dire Straits e a registrare brani per “Journeyman” di Eric Clapton e un disco come “Foreign Affair” di Tina Turner. La lettura di questo libro si rivela quanto mai gustosa, perché offre un punto di vista diverso nella nutrita narrazione sulla storia del Rock.
Non più quello di famose “rockstar”, ma di “specialisti” dello strumento, in questo caso della chitarra, che erano dentro il “music biz” senza però mai subirne gli effetti distruttivi. Phil Palmer ha lavorato anche qui da noi in Italia: è suo, per esempio, l’assolo di chitarra su «Con il Nastro Rosa» di Lucio Battisti. Più tardi è stato convocato in studio di registrazione anche da Claudio Baglioni, Renato Zero, Eros Ramazzotti, Pino Daniele, Francesco De Gregori, Edoardo Bennato, Roberto Vecchioni e Loredana Bertè.
Un testo ricco di aneddoti, di storie famigliari e di episodi curiosi che non potrà fare altro che ampliare il vostro “know how” su quanto bolle in pentola sulla scena del Rock.
Articolo del
07/10/2024 -
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