Alla fine è stata una festa totale, sicuramente troppo breve, non così tanto affollata sugli spalti, in ogni caso euforicamente intensa nel parterre. Il live del produttore, dj e selezionatore di suoni elettronici Jamie XX (al secolo il trentacinquenne londinese James Thomas Smith, cofondatore dei seminali The XX) alla Cavea del Parco della Musica, ha mantenuto le attese di una fanbase che auspicava da tempo la sua venuta romana, dopo il tutto esaurito della data primaverile milanese.
Fanbase che invero immaginavo più numerosa, dinanzi a una tribuna piena solo per un terzo. Sicuramente il costo del biglietto intorno ai 50 euro ha influito. Per stare seduti sugli spalti a decine di metri dalle casse del palco, dove infuria la festa. A Milano c’era sicuramente una dancehall più adeguata, all’interno del mitico C2C Festival, quindi una gioventù minimamente più affluente, nella città in perenne trasformazione, ora sotto l’occhio del ciclone di inchieste giudiziarie e di una postura che negli ultimi tempi sembra respingente proprio per quella (più o meno giovane) moltitudine creativa che nei settori delle arti (musicali, editoriali, digitali, etc.) sembrava aver trovato terreno fertile e spazio evolutivo. Ci sarà bisogno di un Zohar Mamdani milanese e collettivo, che, come a New York nel prossimo novembre, sappia candidarsi per ripensare una metropoli per le persone che la vivono, abitano, attraversano quotidianamente, e non per quei fondi speculativi che la dissanguano.
E intanto proprio da Milano arriva l’effervescente Hiroko Hacci, dj, miscelatrice di suoni e cantautrice giapponese che nella migliore ora estiva romana, intorno alle 20, apre la serata con un dj set rigoglioso di suoni, beat e voci, anche la sua, mentre spazia da David Guetta e SIA all’esteso remix di 1,2,3,4 Gimme Some More, con retrofuturistico furore disco, direttamente dal mitico 1977 dei nostrani DD Sound. Durante il suo set di oltre un’ora e mezza la platea comincia a riempirsi e a muoversi a ritmo. Ed è anche il tempo per trovare la migliore posizione possibile nel parterre, tra acustica e pubblico di riferimento, per gustarsi la festa sottocassa. Per inveterata esperienza di elettriche nottate dance e live set è consigliabile sempre seguire quegli sparuti gruppetti di 20/30 something, sorridenti sin dall’inizio e solitamente con volti truccati e muniti di irremovibili occhiali da sole. Per evitare di finire come al live di James Blake della scorsa estate sempre qui alla Cavea dove, nonostante la desolata e reiterata invocazione proveniente dal palco “it’s time to dance”, a ballare fummo solo in due, considerati matti dagli altri, che rispondevano con un “stai attento questo è il mio posto”, ma non da James Blake, sono sicuro!
Così anche stasera mi affido ai colori e agli occhiali da sole sui volti, giù fino alla seconda fila, alla destra della consolle dove alle 21.40 sale in cattedra, sardonico e un poco introverso, il nostro Jamie XX. Ed è subito una partenza perfetta, che coinvolge l’intera platea giunta al sold out perché questo è il luogo in cui stare, malgrado i quasi 60 euro di biglietto. A dimostrazione che tutto il mondo ha voglia di ballare sotto il palco, non di stare in tribuna, seppure anche lì si finirà per agitarsi un poco.
Ecco che i primi due pezzi sono anche l’inizio di “In Waves” (Young), il capolavoro 2024 di Jamie XX che miscela subito l’apertura sussurrata di Wanna con i battiti spezzati e incalzanti di “Treat Each Other Right”, mentre alle spalle della consolle vengono proiettate immagini del pubblico danzante in diretta. Perché il concerto è in quel reciproco riconoscersi e danzare insieme al suono di pezzi che rilanciano e stravolgono quelli che da tempo accompagnano le nostre esistenze, in cuffia isolati dai rumori metropolitani, in macchina suonandoli per tutti a finestrini aperti, dalle casse delle nostre casette in fumose e affollate serate.
E Jamie XX capisce subito che può calcare la mano, guidando sapientemente una dancehall quasi in trance estatica, sapendo miscelare accelerazioni e rallentamenti, cassa piena, rotonda e dritta con ritmi spezzati, sincopati e frammentati. Melodie e sample. Suoni digitali e vinili. Elettronica spinta e derive techno. Luci cangianti e oscurità siderali. Crescendi infiniti e echi lontanissimi. Bassi profondissimi e acuti fulminanti. Le mirrorball che fendono il buio. Il fumo che ci avvolge. Poi ci sarà sempre qualcuno che dirà troppo coatto e artefatto.
Troppo boombastico. A me verrebbe da dire quasi la perfezione, come del resto mi è capitato forse solo con i live di Goldie, Aphex Twin, Kruder & Dorfmeister, Ellen Allien, Miss Kittin, Moderat, Kode9 e Four Tet. Qualcun altro evocherà il perennemente valido motto di Lou X, del “troppo in basso per fighetti, troppo in alto per le merde”. Ma Jamie mi pare contenere in sé stesso tutte le splendide contraddizioni del dj, che è anche selector, che è anche producer, remixer, factotum della dancehall elettronica di questi nostri tempi. Sicché le prime file semplicemente entrano in un viaggio immersivo transtemporale e spaziale che arriva fino a In Colors, il disco precedente di Jamie XX, di un decennio fa, dal quale è ripresa una versione destrutturata, tellurica e ctonica di “Gosh”, che pare far implodere la cavea stessa.
Poi arrivano i regali a un pubblico sorridente, gioioso ed esterrefatto come non mai, appena suonano le strofe di “Amore disperato” di Nada, remixato a partire da Sembra un angelo caduto dal cielo e la platea canta e balla in un rito collettivo che poco dopo si immerge nella melodia poliziottesca e ballereccia di un’inaspettata “Sambamba” di Sandro Micalizzi, colonna sonora di Genova a mano armata, ancora gli anni Settanta italiani, il 1976, per la precisione. Una ricerca sonica infinita per Jamie XX e le nostre orecchie e gambe e cuori. Quindi “Stop Bajon” di Tullio De Piscopo, che Jamie suona da diversi anni nei suoi live. Un trittico che ho interpretato come un segno e un sogno, perché salutando il nostro Goffredo Fofi che se n’era andato il giorno prima, avevo scritto che lo avremmo portato con noi sottocassa da Jamie XX, seppure Goff detestasse i nostri balli in solitaria, legato com’era a quelli in tondo, in circolo, di un tempo antico, e soprattutto a quelli in coppia, del liscio, che tanto ballò anch’egli. E allora, Goff non ci crederebbe mai, ma proprio a partire dal remix di Amore disperato, si è ballato molto in tondo, in circolo, spalle al palco con occhi, testa e cuore immersi nella moltitudine danzante che avevamo intorno, che eravamo noi, al centro di tutto, tutti insieme in tondo.
E in mezzo versioni per me veramente estatiche di “Life” con la sublime voce di Robyn, “All You Children” semplicemente gioiosamente perfetta, e una “Waited All Night” in cui le voci dei compari Romy e Oliver Sim di The XX si rincorrono e si sottraggono a bassi meravigliosi. Si intuisce una cura estrema nel dosare i tempi, nel non farci precipitare in gorghi infartuali, soprattutto per noi oramai sicuramente troppo agée per queste latitudini. Così l’epica “Baddy on the floor” si interrompe certamente al momento buono per farci rifiatare, ma non può essere che si sia già alla fine, accidenti, che è il tempo di un frettolosissimo bis con “Dafodil” e Jamie XX stacca tutto e se ne va che sono le 23, senza manco un saluto, sudato e imbronciato, pare!?
Potrebbe aver influito sull’umore quell’avere dinanzi una tribuna praticamente quasi deserta? Ma le prime file del catino del parterre erano letteralmente infuocate e anche fosse solo per noi, lì sotto, valeva la pena continuare a demolire di onde soniche che riverberavano verso villa Glori e i Parioli. Hai visto mai? E non voglio fare il vecchio che ricorda quando il succitato Goldie attaccava il suo live tra l’una e le due di notte al Goa o al Brancaleone, per suonare fino all’alba, ma non si può chiudere un set dopo un’ora e mezza scarsa, che d’accordo ci ha fatto perdere le cognizioni spazio-temporali, ma siamo qui fuori dall’Auditorium alle 23.05 del 12 luglio. Ma come si fa? Diteci almeno dove sarà l’after! Ma niente.
Grazie comunque, Jamie XX. Ti aspettiamo con The XX, ora.
All you childrеn, gather 'round/We will dance together. Stop your crying, dance with me/Dan-dan, dance-dance/Dan-dance-dance, dan-dan/Dance-dance, feel the rhythm/Dance-dance-dance/Feel the rhythm, feel the rhythm, feel the rhythm
(la foto è di Beatrice Ciuca)
Articolo del
19/07/2025 -
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