Dopo diversi anni, troppi anni direi, torna ad esibirsi a Roma per un concerto dal vivo Joe Bonamassa, chitarrista americano di origini italiane che - a soli quarantotto anni d’età - è già diventato artista “di culto” per i tanti appassionati di blues. Bonamassa sì è fatto conoscere negli anni Novanta, grazie alla sua base tecnica sopraffina e ad uno stile chitarristico estremamente pulito.
Era stato avviato alla musica classica ma, a soli dodici anni, ha scoperto il blues e la sua vita è cambiata. Si è ispirato a musicisti della tradizione blues americana, come Albert King e B.B. King, ma anche a chitarristi più recenti come Eric Clapton e soprattutto Steve Ray Vaughan. Non è affatto un caso quindi che nella tour band di questa sera sia presente Reese Wynans, lo straordinario tastierista dei Double Trouble, il gruppo che accompagnava dal vivo proprio Steve Ray Vaughan.
Per quanto avanti negli anni, Wynans ha tenuto benissimo la scena e si è meritato la “standing ovation” che gli è stata tributata da tutto il pubblico verso la fine del concerto. Insieme a lui vanno ricordati gli altri bravissimi musicisti scelti da Bonamassa per questo suo nuovo e incandescente tour: Josh Smith, alla chitarra ritmica, Calvin Turner, al basso, Lemar Carter, alla batteria e le bravissime Jade MacRae e Danielle De Andrea, ai cori. Abbiamo assistito ad un concerto molto dinamico, energetico e a tratti esplosivo, caratterizzato dalla totale assenza in scaletta di qualche anticipazione dei brani che invece compaiono su “Breakthrough”, il nuovo album in studio di Joe, previsto proprio per il mese di Luglio di quest’anno.
Sono state davvero tante invece le citazioni da rhythm & blues del passato, preziose ”cover”arrangiate però con un approccio diverso, a dir poco tonante (molte le concessioni all’hard rock), ma anche ricco di intuizioni innovative. Quasi due ore di un “blues rock” elettrificato, contagioso e tonificante, un vero e proprio paradiso per i tanti suoi “seguaci”, provenienti da città diverse, che hanno affollato la Cavea. Joe Bonamassa canta, questo è innegabile (ed è anche migliorato molto in questo), ma la sua vera voce, l’unica sua parola veramente comprensibile, è quella che fuoriesce dalle note della sua chitarra, che ha disegnato per tutto il tempo orizzonti musicali sconfinati, tipici dei concerti degli anni Settanta, quando l’influenza di Jimi Hendrix era ancora viva.
Ci sono piaciute molto le esecuzioni di “Dust Bowl” , di “I Want To Shout About It”, di “The Last Matador Of Bayonne”, di “Pack It Up” e di “How Many More Times”, lo straordinario pezzo dei Led Zeppelin di Jimmy Page e Robert Plant. Ma per il capolavoro assoluto abbiamo dovuto aspettare la fine, quando le note di “Sloe Gin” hanno cominciato ad echeggiare in platea. Nove minuti di una ballata blues tanto bella quanto emotivamente drammatica e devastante. Quanti di noi l’hanno messa sul piatto del proprio giradischi nei momenti difficili, quando una storia d’amore stava per finire.
L’incedere inizialmente lento della canzone ha creato una atmosfera raccolta, ha fatto in modo che la gente si radunasse sotto palco, per poi decollare insieme in un crescendo fantastico, la quintessenza della chitarra blues, l’estasi di ogni rocker di origine controllata e in possesso di un’anima.
SETLIST
Hope You Realize It (Goodbye Again) Dust Bowl Twenty‐Four Hour Blues (Bobby “Blue” Bland cover) Well, I Done Got Over It (Guitar Slim cover) Self-Inflicted Wounds I Want to Shout About It (Ronnie Earl and the Broadcasters cover) The Last Matador of Bayonne Pack It Up (Freddie King cover) It's Hard But It's Fair (Bobby Parker cover) How Many More Times (Led Zeppelin cover) Encore: Sloe Gin (Tim Curry cover)
Articolo del
21/07/2025 -
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