Si può fare del buon rock and roll in un “live act” per chitarra e voce, in un ambiente raccolto e senza avere di fronte una folla oceanica? La risposta è sì, certamente, ma solo se la cosa viene gestita da Mike Doughty, un signore di cinquantaquattro anni, ex Soul Coughing, che non vuole saperne di ritirarsi a vita privata e che ha ancora dentro di sé un mondo da raccontare.
I Soul Coughing sono stati una band di rilievo nei primi anni Novanta, quando hanno sfornato due album strepitosi come “Ruby Wroom” e “Irresistible Bliss”. La band si era formata a New York, il luogo dove Mike Doughty aveva deciso di stabilirsi. Abile scrittore, prima ancora che musicista, Mike frequentava i circoli letterari della città e le sue poesie avevano un discreto successo. A quel tempo Mike si guadagnava da vivere scrivendo recensioni di musica e lavorando come addetto all’accoglienza presso la Knitting Factory, uno dei locali più “trendy” dell’epoca. Qui conobbe diverse persone di estrazione “punk” fra cui i musicisti che sarebbero poi andati a formare i Soul Coughing (il titolo lo aveva scelto Mike, che si era ispirato ad un episodio invero piuttosto strano come i conati di vomito che colsero di sorpresa Neil Young durante un viaggio sul suo tour bus).
Una miscela di punk, di citazioni pop, di funky music e di finto jazz che costituivano la struttura armonica di una sezione vocale aggressiva, che aveva preso in prestito più di qualcosa dall’espressività tipica della musica rap.
Stasera ci ha riproposto, in un set che si è caricato sempre più di energia con lo scorrere dei minuti, canzoni straordinarie come “Is Chicago, Is Not Chicago?”, “So Far I’ve Not Found The Science”, “Super Bob Bon”, “Soft Serve”, “Sleepless”, “Janine” e la fantastica “Vegetable”. Tutto questo animato da un groove pazzesco e molto coinvolgente che ha spiazzato quanti erano li per caso e non conoscevano la sua produzione, in particolare quella solista, che è rimasta molto fertile almeno fino al 2016. Una serata volutamente “lo fi” ma che - a ben guardare - era colma di quell’ironia, di quel sarcasmo che hanno fatto veleggiare alto la musica punk e il “grunge”.
Mike non parla bene “la nostra bella lingua” e si è scusato per questo ma, per quanto riguarda tutto il resto, questo concerto è stato un piccolo capolavoro, da parte di un artista di nicchia, volutamente schivo, che però a suo modo ha disegnato in quegli anni un suo percorso, molto fertile e interessante, all’interno del Rock del Novanta
Articolo del
18/11/2024 -
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