Il concerto di questa sera, immancabilmente “sold out”, è stato preceduto da una lettera aperta, firmata dallo stesso Peter Hammill, leggendario “vocalist” dei Van Der Graaf Generator, al pubblico italiano.
“Non conosco il mio futuro” ha scritto Peter “Quindi non sono in grado di dirvi quale sarà il mio ultimo tour qui da voi. Ma ho compiuto 76 anni poco tempo fa e - dato che non sono quel tipo di persona che ambisce a morire sul palco, in un concerto dal vivo - ci sono buone probabilità che questo mio show a Roma sia l’ultimo.
Mi dispiace molto perché l’Italia ha sempre rappresentato molto per me, sia per la mia carriera artistica che a livello umano”. Non ci meravigliamo allora nel constatare che c’è un’atmosfera particolare questa sera all’interno del Teatro Studio, un’aria molto raccolta ed un atteggiamento molto attento fra i “reduci” del Progressive Rock che si sono radunati qui per l’occasione. Peter Hammill non è soltanto uno straordinario musicista ed eccellente interprete, ma una figura “amica” per quanti come chi vi scrive che sono cresciuti alimentandosi delle canzoni dei Van Der Graaf Generator prima, e delle sue composizioni come solista in seguito.
La liricità estrema ed il talento di questo musicista hanno trovato soprattutto in Italia un terreno fertile fra i molti appassionati del rock d’autore, fra quanti non si accontentano delle banalità offerte dalla musica pop commerciale e sono desiderosi di andare oltre. La vocalità di Peter Hammill che sa essere dolce e delicata, ma anche altisonante, appassionata e struggente, contiene codici stilistici ed elementi esistenziali davvero importanti nei quali si riconosce un’intera generazione, nonostante l’incedere del tempo. Peter Hammill si alterna alla chitarra acustica e al pianoforte, e inizia con l’esecuzione di “My Room”, tratto da “Still Life”, dei Van Der Graaf Generator, album del 1976. “How could you let it happen?” grida Peter “come hai potuto farlo succedere?” e la sua disperazione si muove all’unisono con gli stati d’animo di un pubblico ben predisposto a lasciarsi commuovere. Subito dopo arrivano le note di piano di “A Siren Song”, da “The Quiet Zone/The Pleaure Dome”.
Arriva il momento di “Just Good Friends”, una delle canzoni d’amore più belle scritte da lui, un crescendo epico che diventa un inno alla devozione totale, che racconta la vertigine di un amore incondizionato, che non ha paura di affrontare il rischio di un fallimento. E ancora “If I Could”, struggente come la ricordavamo, in un discorso d’amore in cui le parole davvero importanti vengono pronunciate “troppo piano o troppo tardi”. Seguono perle come “Ophelia” , “Driven” e ”Time To Burn” fino ad una esecuzione magnifica, straordinaria, al pianoforte, di “A Way Out”, il grido lancinante di un uomo che all’improvviso ha perso tutto e si ritrova “fuori sincrono, fuori contesto, fuori controllo, fuori moda e soprattutto fuori da qualsiasi percorso d’amore”.
Una vocalità drammatica che raggiunge livelli espressivi altissimi, assolutamente incredibili per un’artista di 76 anni compiuti. Il coinvolgimento è totale, l’emozione è spiazzante: siete a conoscenza di qualcosa o qualcuno che possa fare di meglio? “Mi sarebbe piaciuto averti detto ti amo”, poesia in musica, all’insegna di un lirismo romantico che risalta ancora di più non appena lo mettiamo in confronto con i tempi in cui viviamo. “Stranger Still”, “Traintime” e il ritorno in scena per eseguire “Modern” chiudono un concerto dalla musicalità piena, sincera e forte.
Una “performance” appassionata in cui Peter Hammill ha usato i tasti del pianoforte come fossero un martello, che picchiava diritto al cuore e scavava all’interno della sfera più intima di ciascuno di noi.
SETLIST
My Room (VDGG) The Siren Song (VDGG) Just Good Friends The Descent Comfortable If I Could Shingle Song Ophelia Time To Burn Driven Patient Gone Ahead A Better Time A Way Out Stranger Still Traintime
Encore:
Modern
Articolo del
16/11/2024 -
©2002 - 2024 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|