Amori malinconici e non ancora persi. Giorni bui che spariscono nel fumo della nebbia. Incertezze. Esistenze che trovano conforto solo nell’apparenza della vita. Il buio della malattia di Parkinson che degenera e ingoia anche i sogni. È un fil rouge di interrogativi e conferme quello che lega, con la forza delle parole, le storie sussurrate nel primo album, “La faccia delle persone”, del cantautore bolognese (d’origine calabrese) Maurizio Costanzo.
L’ascolto del disco, pubblicato dall’etichetta Parametri Musicali e realizzato grazie alla collaborazione con Roberto Costa (da 40 anni figura di riferimento della musica leggera italiana, arrangiatore e collaboratore storico di Lucio Dalla, Ron, Luca Carboni, Mina, Gianni Morandi) suscita una sensazione di spaesamento in chi - attraverso un ormai consueto e forse logoro modus operandi - cerca di incasellare ogni nuovo artista in un genere ben preciso. Frequentando la musica di Maurizio Costanzo si rimane sospesi fra il cliché di cantautore impegnato e schiette derive pop, sonorità acustiche demodé e suoni elettronici.
Presenta il suo mondo intimo e affettivo, applicando una poetica ben precisa nel mettere in fila le parole e misurandone attentamente il potere evocativo e di “rimando” ad altre realtà immaginifiche. Si esprime liberamente attraverso il suo gusto e i suoi mezzi. Citando Francesco Baccini, che anni fa disse: “chi cerca di intercettare il gusto dei suoi contemporanei non è un cantautore, è un artigiano che lavora su commissione”, possiamo affermare che Costanzo è completamente sganciato dalle regole e dal gusto del mercato discografico. E verrebbe da aggiungere una riflessione: un cantante vende una canzone, un cantautore, forse, offre un mondo.
Passato per gli studi universitari, collaborazioni con orchestre e gruppi di musica da camera in Italia e all’estero, 25 anni di giornalismo (per citare anche esperienze extra musicali ma altrettanto formative) e l’attuale docenza di oboe presso il Conservatorio di Cosenza, l’artista bolognese crea un percorso musicale del tutto personale, ricco ed eterogeneo, offrendo all’ascoltatore otto tracce in un caleidoscopio di impressioni e frammenti biografici.
Le atmosfere asciutte e romantiche di brani come “Cercami”, accompagnate da un incedere ritmico lento e rilassante, danno risalto alla voce prima sussurrata e vellutata nelle strofe e poi declamata in acuti intensi e pieni di tensione sul finale. Mentre gli arpeggi della chitarra acustica in “Biancaneve” fanno da tappeto a una voce nitida, dal tono discorsivo, che contestualizza in chiave moderna la nota favola, con un messaggio chiaro: le donne anche in momenti di dolore e difficoltà riescono a vedere sempre la positività della vita.
La ritmica pulsante ed elettronica di “Tutto quello che rimane” e un parterre di suoni accuratamente scelti, conferiscono un tono sensuale e avvolgente alla traccia: qui con una certa esuberanza canora si commenta la falsità di quelle persone che nei rapporti sociali si preoccupano soltanto di mostrare la faccia e non quello che c’è dietro.
Ma è con “Mia madre ha il Parkinson”, che Costanzo mette sul banco momenti biografici profondamente intimi. In questa canzone imprime un tocco avvolgente e commovente alla melodia, irrobustisce la sua caratura cantautorale, modellando la performance sul peso espressivo delle parole (se ne rintraccia lo spessore e la profondità sin dal titolo). L’artista racconta la sua esperienza accanto a una persona costretta a vivere con una malattia degenerativa. “Dimmi cosa posso fare / sono il figlio di una bambola che ha sete e fame / le dita aggrovigliate e gli occhi che non hanno pace / si muovono per farsi capire”, recita il testo. Emerge soprattutto - senza eccessivi sentimentalismi - il lato distruttivo della vita: “negli angoli della ragione / le tue frasi non hanno più voce / si confondono col soffio del vento / in un giorno, in un gesto o nel silenzio”.
In “L’ultimo giorno”, invece, le parole del testo ci suggeriscono di prendere strade laterali rispetto a quelle che solitamente percorriamo con la mente e i nostri pensieri. Riusciamo a distaccarci dai rituali giornalieri, ripetitivi e scontati, per vivere sempre come se fosse l’ultimo giorno? Forse sì. Ma dobbiamo riuscire a “digerire” tutte le bugie che ci circondano, cercare di cancellare l’odio “stringendoci la mano”.
Articolo del
05/02/2025 -
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