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Penso che molto di questo disco arrivi da una ferita personale. Che poi dal punk c’è sempre da attendersi un modo per esorcizzare lo schifo che abbiamo attorno, sociale, politico… ma in fondo personale. Non voglio indagare oltre le righe di vita di Stefano Morandini detto LOSTE, pregiata firma del punk che ha fatto storia con i PornoRiviste o i Collettivo01 e che ora, dopo distanze forzate dalla sua amata chitarra, ritorno e rinasce in un disco personale dal titolo “Postumi”. Il racconto è quello di un uomo che ha conosciuto bene la parte sfibrata del mondo, e che torna a incidere dopo un decennio di silenzi forzati, dolori fisici e disillusioni. Eppure, ciò che sorprende non è la cronaca delle ferite, ma la capacità di attraversarle con uno sguardo che alterna ferocia, sarcasmo, rassegnazione e lucidità. “Postumi” è un diario scritto controvento, un album che ruba al punk l’urgenza, al rock la carne viva e la ruggine, ci mette dentro del sano pop con soluzioni e fraseggi melodici “facili” e poi ovviamente pesca dalla canzone d’autore quel modo che ha di confessare peccati e fragilità, le sbronze, le bionde esageratamente ingoiate, i postumi insomma in tanti sensi. Che ognuno viva (anzi riviva) i suoi. E poi, in mezzo a tutto questo, spunta un gatto. “A-A-Amici gatti”, simbolo di un’amicizia che non chiede nulla, che non tradisce. È un momento inatteso, quasi sacro nella sua normalità, che dà al disco un contrappunto umano e disarmante. Come se Loste dicesse: ecco l’unica creatura che non ha preteso niente da me mentre crollavo. E poi ad una certa spunto Ligabue in veste punk (ovviamente) e il nostro ci canta la sua “Figlio d’un cane” e io penso che in questa veste ogni canzone potrebbe suonare punk. Perché alla fine la ricetta è sempre la stessa e come allora anche oggi, dischi come questo rischiano di restare fermi dentro un recinto sempre uguale di voci corali che urlano dentro melodie pop in maggiore, le vocali larghe e tutto il resto. Sporchi, disillusi, ubriachi, con quel modo di suonare la chitarra (anche quello sempre uguale) che la si tiene appesa fino verso le ginocchia e giù a martellare “pennate”… i rullanti impazziti e linee di basso che seguono la strada maestra. LOSTE ci mette poi variazioni sul tema come nella intro della splendida “La terra è un posto bellissimo” o nella intro di “Amaro in bocca” che di sguincio mi fa pensare all’uomo ragno di Pezzali e Repetto. Oppure ai modi caraibici di “Elevato tasso”: sono sempre intro o soluzioni di corredo perché poi la minestra si ripete e così deve essere. Ho come l’impressione che venga curata meno la personalità dell’io e molto più l’appartenenza ad una “classe operaia” di cui ormai sentiamo fortemente la mancanza… ci vorrebbero dischi come questo a riempire gli stadi. È questa la loro dimensione… altro che Spotify.
Articolo del
20/11/2025 -
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