L'aria di Roma nella serata dell’8 luglio non era solo calda, ma intrisa di un'attesa quasi mistica, un fremito d’umanità che si annidava nella cavea all’aperto dell’Auditorium Parco Della Musica Ennio Morricone. Una promessa, un rito che stava per consumarsi tra le mani tese della folla e la voce impetuosa di una sacerdotessa rock. Gli Skunk Anansie stavano per scatenare la loro tempesta perfetta sul palco del Roma Summer Fest 2025.
Mentre il sole si ritirava, dipingendo il cielo di Roma con l'oro bruciato dei tramonti estivi e il viola profondo delle notti che respirano, il pubblico si riversava, un fiume di anime confluite verso un unico, potente richiamo. Erano generazioni, intrecciate come i rami di un olivo secolare, tutte unite da una devozione palpabile per la band che ha scolpito il proprio nome nel marmo del rock inglese e internazionale.
Poi, il buio fugace. E lì, come un lampo di verità che squarcia la notte, è apparsa Skin. Con la sua energia che non accenna a diminuire, ha dominato la scena fin dal primo istante. La sua voce è un vento selvaggio che soffiava tra le rovine dell'anima, capace di sussurrare segreti con la delicatezza di una farfalla e di ruggire come un vulcano in eruzione, fondendo furia e fragilità in un’alchimia perfetta grazie anche alla completa simbiosi con gli altri componenti della band: Martin "Ace" Kent – chitarra, voce, Richard "Cass" Lewis – basso, chitarra, tastiere, voce, Mark Richardson – batteria, voce. La setlist è stata un viaggio, non solo musicale, ma emotivo. Ogni nota, un passo in un sentiero tracciato tra l'ombra e la luce della loro breve ma folgorante discografia, composta da sette album in quasi trent’anni di carriera.
Skin, come un'antica sciamana, non si limitava a cantare parole; evocava emozioni. Ha navigato il palco come una nave in tempesta, ma è anche scesa tra la gente, i suoi occhi che incontravano sguardi, le sue mani che toccavano anime, creando un ponte invisibile che connetteva ogni individuo alla corrente collettiva. Ha parlato non solo di musica, ma di resistenza, di vulnerabilità, della forza di essere unici, e le sue parole risuonavano come verità antiche nel cuore di un presente confuso.
Quando, nel finale, la band ha salutato con la splendida “Lost And Found” tratta dal loro recente e altrettanto meraviglioso album “The Painful Truth”, la musica non è svanita, si è aggrappata all'aria, un'eco persistente tra le cupole maestose dell'Auditorium.
Setlist:
Charlie Big Potato Because of You An Artist Is an Artist I Believed in You Love Someone Else God Loves Only You Hedonism (Just Because You Feel Good) Shame You'll Follow Me Down Weak I Can Dream Twisted (Everyday Hurts) Animal Yes It's Fucking Political Tear the Place Up
Encore:
Secretly Cheers Highway to Hell Little Baby Swastikkka Lost and Found
Articolo del
11/07/2025 -
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