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Giovanni Guidi
G. Guidi L. Aquino Duo + Guidi Little Italy
22/07/2020
di
Riccardo Rossi
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Doppio concerto in una serata divisa a metà tra mistero ed irruenza. Questo perché, pur essendo Giovanni Guidi il perno a cui gli estremi dei due set si sono ricollegati, ciascuno di essi può essere visto come l’esternazione di un particolare sguardo non solo alla vita, ma anche al Jazz.
Il pubblico non è numeroso come negli altri appuntamenti di Cdj Reloaded a cui ho avuto il piacere di assistere, ma in fin dei conti importa poco, è l’emozione e l’empatia a saturare l’aria non appena Guidi inizia lentamente a sfiorare i tasti del suo pianoforte. Luca Aquino, dopo lo stop nel 2017 dovuto ad un problema al nervo facciale, torna a far parlare la sua tromba, e lo fa in modo delicato, riallacciandosi al cammino notturno del piano di Giovanni. Lo sguardo della notte romana si specchia in quello di una notte irreale e mitica generata da una musica al di là di spazio e tempo, romantica e sublime nel suo prendere per mano e condurre con speranza attraverso tenebre d’altrove.
Solo alla fine, quando una voce vicina o il luccichio di una stella ai limiti del campo visivo si palesano ai nostri sensi, si capisce che il sogno è finito ed è la realtà adesso a parlare, attraverso la voce di un Guidi emozionato nel presentare il ritorno di Aquino su di un palco insieme a lui. Dopo un breve intervallo, in cui le luci del parco si riaccendono con forza sui pensieri sognanti ancora restii ad abbandonare il ricordo della musica appena conclusasi, ecco iniziare il secondo concerto della serata. Protagonisti insieme a Guidi, qui diviso tra piano e fender rhodes, sono quattro ragazzi: Stefano Carbonelli e Nicolò Francesco Faraglia alle chitarre elettriche, Federico Negri e Giovanni Iacovella alle due batterie.
Questo è il momento di un suono più ruvido ed imprevedibile, molto vicino allo spirito fusion e free jazz che permea un album imprescindibile come Bitches Brew di Miles Davis. Un’alternanza ipnotica tra tappeti in crescendo di batteria e guizzi d’elettricità pura dettata dalle due chitarre e dal fender rhodes di Guidi, in un mix di certo non decifrabile e digeribile da molti, ma che personalmente adoro. In alcuni interludi i brani sembrano acquistare una struttura più lineare e si assiste ad un ensemble tra tutti gli strumenti, i quali si uniscono in un crescendo esaltante per poi celarsi nuovamente ai più in quel mood acido e spigoloso che fu anche di Davis.
Immancabile nel finale un omaggio ad Ennio Morricone, un epilogo perfetto ad una serata che ha fatto del genio e dell’imprevedibilità il suo fiore all’occhiello.
Articolo del
23/07/2020 -
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