Appena pubblicato da Il Castello, e tradotto in maniera impeccabile da Sara Boero, “My life. È una lunga storia” attrae le simpatie del lettore fin dalle prime pagine per la passione genuina e la verve con cui Willie Nelson racconta la propria carriera pluridecennale nell’industria musicale. Un percorso travagliato iniziato ufficialmente con l’incisione del primo singolo (“No Place for Me” / “Lumberjack”) nel 1957.
Che si sia estimatori della musica dell’autore, o meno, sarà improbabile non apprezzare l’ironia, il brio e la sobrietà con cui vengono narrati vicende, incontri, collaborazioni (con artisti quali Waylon Jennings, Johnny Cash, Kris Kristofferson, Ray Charles), passi falsi e successi nel mondo discografico; settore che Nelson conosce approfonditamente, e che con franchezza e disincanto non esita a definire, per lo più, popolato da squali.
Degna di nota, in particolare, l’importanza assoluta attributa alla musica. Nelson afferma di aver passato la vita a cantare soprattutto la solitudine e la perdita; per lui scrivere canzoni è fonte di consolazione, e la componente emotiva è un principio basilare dell’attività di un musicista.
Interessanti anche le considerazioni presentate sul superamento delle barriere che dividono la musica in categorie e generi. Presa ispirazione dall’esempio offerto da alcuni addetti ai lavori (il cantautore Johnny Bush, Elvis Presley e Ray Charles), nella sua sterminata discografia Nelson si è cimentato in sonorità e in riletture che spaziano dal country and western allo swing, dal gospel al blues, con incursioni nel jazz e in numerosi altri stili. La lezione tratta da Bush è stata forse quella più utile e importante: un grande interprete può proporre qualsiasi canzone.
Aneddoti riguardanti i primi passi mossi nel Texas rurale, le difficoltà incontrate per sbarcare il lunario, i trasferimenti in cerca di opportunità, i tentativi disperati per emergere come musicista, il sostegno generoso offerto da alcuni amici, le esperienze con manager e pezzi da novanta illuminati dell’industria discografica (Neil Reshen, già al servizio di Miles Davis, di cui curava gli interessi; Jerry Wexler, della Atlantic Records), le traversie col fisco, e l’entusiasmo manifestato per la marijuana arricchiscono questa autobiografia godibilissima.
Una lettura consigliata a tutti gli appassionati di musica.
Articolo del
27/11/2024 -
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