“Sonny boy. Un'autobiografia” (titolo originale “Sonny Boy. A Memoir”, Cornerstone editore, Londra 2024), quattordici capitoli nei quali il grande attore Al Pacino descrive in modo brillante, con una scrittura nervosa e asciutta, la propria vita, a partire da quando ne ha ricordo fino all’attualità.
Un percorso denso già a partire dalle battute iniziali, dove si legge di sua madre che faceva la donna delle pulizie e talvolta l’operaia e che a soli tre o quattro anni lo portava al cinema, così ponendo le basi del futuro artistico del figlioletto, per terminare, dopo oltre trecento pagine, con il ricordo della madre e con la speranza di rivederla in cielo dicendole “Ehi, mamma, hai visto che cosa mi è successo?” così da testimoniarle quanto l’infanzia passata con lei sia stata importante nel diventare un attore.
Sonny Boy, questo il soprannome dato dalla madre al bambino, ripreso da una canzone degli anni ’30 di Al Jolson, un soprannome con il quale veniva chiamato anche dagli amici del Bronx, la zona di New York dove aveva vissuto dopo essere nato a Harlem.
In tutta la sua vita Pacino avrà un rapporto molto stretto con la città di New York e anche, quando raggiunto ormai il successo, abiterà a Los Angeles per rimanere più vicino al luogo fulcro del mondo del cinema, Hollywood, non mancherà di tornare spesso nella Big Apple per riassaporare il mondo del teatro, quello dal quale questo grande attore proviene.
Al Pacino sia essenzialmente un attore di teatro e le sue performance cinematografiche mettono in mostra questo suo modo di recitare; tanto è l’attaccamento al teatro che anche in età matura, specialmente nei momenti di crisi personale ed economica, tornerà a recitarvi. Nel libro, che scorre in modo piacevole, innumerevoli sono gli aneddoti e le storie di vita.
L’attore descrive la propria infanzia con la madre, che aveva problemi mentali, e che lui definisce un personaggio di Tennessee Williams “fragile e incontrollabile”, che alla fine dopo aver tentato il suicidio morirà quando lui ha ventidue anni, e il padre, pressoché assente essendo i due separati fin da quando Al aveva pochi anni, salvo riapparire saltuariamente come quando a tredici anni i genitori cenano insieme per festeggiare uno spettacolo scolastico dove lui aveva recitato.
A diciotto anni si iscrive alla Herbert Berghof Studio che si paga pulendo i corridoi e le aule dei corsi di danza e con una borsa di studio.
Passando di lavoretto in lavoretto, venditore di giornali, ma anche traslocatore e cameriere, venendo licenziato perché preso dalla fame sparecchiando mangiava gli avanzi, frequenta le biblioteche dove rimane a ore e ore a leggere e così a formare la propria personalità artistica.
A venticinque anni il giovane Al trova lavoro come custode di un palazzo e riferendosi proprio a quell’esperienza, che descrive in modo vivido e colorito, candidamente il grande attore dichiara che l’unico diploma che abbia mai conseguito nella sua vita è quello di caldaista, che gli era necessario appunto per quel lavoro di custode.
Dopo aver recitato in teatro, anche con qualche successo, arriva al cinema con un ruolo da protagonista nel film “Panico a Needle Park” (1971), passando di esperienza in esperienza, così che nel 1975 si trova ad aver già recitato in ben quattro film ("Il padrino", "Il padrino – parte II", "Serpico", "Quel pomeriggio di un giorno da cani"), a fianco di attori ben più famosi di lui, come Marlon Brando (“Il padrino”).
Recitare nel film “Il padrino” è anche un riallacciarsi alle sue origini italiane e siciliane (suo nonno materno era di Corleone, suo nonno paterno di Messina), un’esperienza che comunque mette in luce alcuni tratti simpatici di Al Pacino: quando Francis Ford Coppola, il regista, chiede ad Al di ballare con la sposa, l’attore candidamente dice di non saper ballare, quando il regista gli chiede di guidare l’auto per girare una scena Pacino, pur essendo di New York, dichiara di non saper guidare, e così via.
Alla fine Coppola sbotta con un “Ma cosa ti ho preso a fare? C’è qualcosa in cui sei capace?” e Pacino: “Non so se serve ma so intrecciare canestri coi vimini. Così quando mi metteranno in manicomio mi sarò già portato avanti”, provocando l’ilarità degli altri attori.
Fra l’altro è proprio quando viene preso per recitare ne “Il padrino” che Al Pacino si accorge delle differenze, sia in negativo che in positivo, fra recitare in teatro e recitare su un set cinematografico.
L’autobiografia si snoda quindi con le successive esperienze rivelando al lettore meno specializzato come la produzione di Al Pacino sia davvero enorme; molti film, prodotti dallo stesso Al Pacino, sono sconosciuti ai più perché l’attore, pur avendo ricevuto riscontri di critica molto favorevoli, decise di non distribuirli.
Fra alti e bassi, non solo artistici ma anche economici, come quando viene truffato da chi si occupa delle sue finanze buttandolo quasi sul lastrico, e momenti difficili dovuti all’abuso di alcol dal quale riesce comunque a uscire, la vita di Al Pacino si snoda mantenendo ferma una certezza: recitare, vivere all’interno dei personaggi che interpreta.
Un tale amore per la recitazione che fa rimanere l’attore un eterno giovane, sempre stupito dalle nuove esperienze che la vita può fargli incontrare, cosa che si percepisce perfettamente nel libro, da leggere tutto di un fiato
Articolo del
28/01/2025 -
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