Fabio Pocci torna in scena, col moniker Phomea e con un disco che sembra scuro in volto e anche ben armato nei confronti del futuro. Ascoltiamo da vicino “Il sonno delle balene”, un’autoproduzione che suona davvero bene, rigida, solida nelle soluzioni, per niente avara di soluzioni poetiche e visionarie come nella intro “Bagnasciuga” dentro cui penso sia custodito il vero senso del disco. Siamo dentro le trame di quello che mi piacerebbe definire alternative pop: il cemento delle periferie e dei garage si mescola con l’evasione di chi sceglie la poesia in luogo delle rime automatiche per il cliché delle radio.
Ombre o luci? Come nella copertina... su cosa dobbiamo basarci? Non “dovete” basarvi su niente in particolare! Non voglio (e non riesco nemmeno fino in fondo) a darti una chiave di lettura primaria e completa né del disco né della copertina. Quello che ho sempre provato a fare è lasciare spazio agli altri, alle vostre interpretazioni, io mi limito a condividere il mio stupore nello scoprire immagini, frasi, connessioni strane e realtà parallele. Questo album, forse ancora più dei precedenti, cerca un dialogo, uno scambio. Ci sono momenti in cui mi metto totalmente a nudo, altri in cui fingo di essere qualcun altro ma sono tutti espedienti per trovare un linguaggio in comune con chi mi ascolta. Ombre e luci, perchè poi è molto personale, dipende anche dalla persona, da cosa ti sorprende in quel momento. L’importante credo che sia rimanere pronti a stupirsi e fare il proprio viaggio. Questo mio viaggio nasce proprio così, dalla fascinazione provata vedendo una foto di Paul Nicklen che ritraeva un capodoglio mentre dormiva.
È un disco che parla di vita... la risolve o sta ancora cercando la soluzione? Credo di dovermi ormai arrendere al fatto che la mia musica (vabbè, non solo la mia) parla sempre “di vita” :) In quello che scrivo ci vedo sempre molta sperimentazione, e non parlo di suonini, pippolini e cose strane ma del processo che mi porta ad impacchettare un disco. Alla fine, la vita, impariamo piano piano ad abitarla, forse questa può essere definita come soluzione.
La tua voce ha quel piglio solenne del cantato... che rapporto hai con questo strumento e con il suo compito in un disco? Guarda, io ho da sempre un rapporto strano, quasi tossico, con la mia voce. La realtà è che non sono uno di quei fortunelli che nascono con “il dono”, per anni ho cercato la mia voce, a volte provando a controllarla, altre dandole tutto lo spazio che richiede. Ed è un continuo tira e molla, spesso non riesco proprio a sentire la mia voce, mi sento inadatto, ma ne ho comunque bisogno per esprimermi, sia a parole che con altri suoni. Per me, per quello che faccio in questo momento con Phomea, la voce è sicuramente lo strumento principale, quello che deve veicolare ogni sensazione. Non so, forse Phomea durerà finchè non troverò e riconoscerò davvero la mia voce. P.s. curiosità: sai che ho cominciato da poco un percorso con una Vocal Coach… è stato curioso arrivare a scoprire che in realtà io avrei una voce da basso ma ho un tono nel parlato più spostato quasi da tenore. Curioso, perchè è come se il mio cervello tentasse di nasconderla, di tenerla a bada.
Bellissima "Stronger"... perché qui l'inglese? Grazie :) La risposta diretta è “Perché è venuta così, punto!” Ed è vero… poi in realtà ha trovato il suo posticino nel disco per vari motivi. Ovviamente perchè faceva parte di questo periodo e contribuiva a raccontarlo ma anche perchè mi si stanno creando dei pattern, delle piccole ossessioni, che voglio seguire. Ad esempio la canzone “mosca bianca” nel mezzo del disco che crea due momenti distinti del viaggio (e stronger era perfetta no?). Oppure la title track che incrementa sempre di 1 nelle tracklist! L’idea iniziale del terzo disco di phomea (prima ancora che nascesse stronger in realtà) era un disco esattamente metà italiano e metà inglese, in quel periodo stavo scrivendo pezzi anche in inglese appunto.. Poi è arrivata l’immagine “Il sonno delle balene” e tutto è cambiato.
È un disco che guarda al passato o al futuro secondo te? Dipende da cosa intendi esattamente. Per me è un disco assolutamente ancorato al presente, nasce da e racconta un mio periodo, da quello che vivo e come lo vivo in quel momento. Ma si appoggia al passato, al mio vissuto, anche grazie a una sorta di memoria storica che mi porto dietro in ogni disco. Ti parlavo prima di “ossessioni”, mi piace anche inserire via via nei dischi vecchi pezzi che appartengono ad un passato meno recente ma che hanno ancora al loro interno un germe comune al mio approccio attuale o che mi possano servire da remind per quello che ero, che sono e che voglio essere in futuro. Guarda al futuro, tantissimo, sempre. Ci guarda con speranza e con apertura, per me ogni disco è un passettino in più verso la scoperta di questo strano linguaggio che è l’espressione in musica. Insomma dai, è uno sguardo confuso, presente il meme di John Travolta?
Articolo del
11/07/2025 -
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