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Roma Capoccia
03/07/2014 15.26.07
Il Circo Massimo per i romani è un luogo altamente simbolico. Ci passi per prendere la Cristoforo Colombo sfiorandolo appena nella parte dove sono stati riesumati alcuni resti che sono l’unica reliquia tangibile di quello che era una specie di ippodromo ante litteram in epoca imperiale.
Quel Circo Massimo è stato più volte usurpato in epoca recente per festeggiare gli scudetti della Roma, per celebrare il ritorno vittorioso degli azzurri dalla Germania nel 2006 o per altre manifestazioni più o meno impattanti (mesi fa ci passai trovando una distesa di mongolfiere).
Insomma, ripensandoci a mente fredda, l’unica polemica comprensibile sollevata per il mega-concerto degli Stones, può essere quella sul canone di ottomila euro pagato per l’occupazione del sacro luogo, frutto di una vecchia tariffa prevista dal regolamento comunale che verrà aggiornata con l’approvazione del nuovo bilancio di Roma Capitale.
Per il resto non deve sfuggire che se per ripulire l’immondizia generata al festival di Glastonbury i volontari ci impiegheranno quattro settimane, la zona di Roma interessata dal concerto del 22 giugno è tornata a regime in pochi giorni e le spese per trasporti, sicurezza e pulizia sono state interamente coperte dagli organizzatori del concerto.
Cosi, era solo per sottolineare a futura memoria che senza esagerare, il luogo sacro del Circo Massimo può essere la cornice ideale per dare a Roma un'immagine sensazionale che merita….. aspettando, a questo punto, l’arrivo dei Coldplay
(f.b.)
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L'heavy metal di Vasco
26/06/2014 10.07.33
Viene da chiedersi cosa potrebbe dire Pino Scotto alla notizia – e non ci si immaginano cose belle. Ed è pure ingiusto commentare prima di aver ascoltato, ma quelle poche righe di lancio Ansa lasciano sconcertati.
La notizia? Eccola: Vasco Rossi annuncia la sua svolta metal per il minitour estivo di questi giorni, tra Roma e Milano. “Ossignùr”, alla milanese, vien da dire. Perché che il Blasco abbia prodotto un suo tipo di hard rock, è cosa indubitabile e accertata. Ma tra hard rock e metal c’è una bella differenza. Eppure Vasco, secondo l’Ansa, chiosa serafico: “"A forza di fare rock duro è inevitabile finire nel metal, è una evoluzione naturale”.
Un’evoluzione naturale?!? Se parliamo dei generi, senz’altro: il metal è un’evoluzione dell’hard rock, cioè del rock duro. Ma se parliamo dei singoli artisti, già non ci siamo proprio.
Innanzitutto perché l’hard rock è in pratica, come ha ben ricordato altrove Tommaso Franci, hard blues, cioè l’estremizzazione, in termini di suoni distorti, del blues, di cui conserva la struttura armonica (basti pensare all’abbondanza degli intervalli di quarta, quinta e settima), le scale musicali (generalmente la pentatonica), la strumentazione (un gruppo hard rock potrà usare armonica a bocca e piano, se vuole; un gruppo metal mai), l’intenzione edonistica (ballo, sesso, sballo).
Mentre il metal si allontana decisamente da struttura armonica e scale musicali tipiche del blues (adottando spesso, invece, quelle della musica classica e colta) e ne rigetta l’intenzione edonistica, sfoggiando invece una morale parareligiosa che si innesta in una visione cupa e pessimistica dell’esistenza, che appare dominata dalle forze del male, in una lotta che vede protagonista l’uomo, alleato o nemico che sia di esse, e di cui il metal si propone di essere la colonna sonora epica, magniloquente ed enfatica.
Nulla di più diverso, quindi, anche se nella percezione di chi il rock lo segue un tanto al chilo i gruppi coi chitarroni possono sembrare tutti uguali. Ma, insomma, chi confonderebbe mai Led Zeppelin, Aerosmith, AC/DC, Queen e Van Halen da una parte, con Metallica, Iron Maiden, Marilyn Manson, Motörhead dall’altra?
Inoltre, nonostante, come detto, il metal sia un’evoluzione dell’hard rock alla cui base stanno due band come Black Sabbath e Deep Purple, nessuna band hard rock (neppure le due capostipiti appena citate) è mai diventata metal o viceversa.
Viene da chiedersi se Vasco sappia di cosa sta parlando. Leggendo il resto del lancio Ansa, in cui Rossi afferma anche che "Questo è il Vasco di oggi : sono un duro che dura. Sono tornato in forma e dopo due anni in cui la gente era impegnata a vedere come stavo, torno più duro che mai", l’impressione è però che il Komandante stia cazzeggiando, in realtà, come par di intravedere nelle parole “sono un duro che dura”, che rimandano tanto a Fred Buscaglione quanto a Rocco Siffredi, e che tutto sia un modo simpatico per far sapere al mondo e ai fans di essere guarito dai problemi di salute che lo hanno afflitto.
Resta da vedere se i fans del Blasco coglieranno l’ironia di cui il loro beniamino è ricco o se crederanno davvero di ascoltare metal, sentendosi ancora più tosti e ribelli (prima di andare a timbrare il cartellino e di portare la suocera a fare le analisi). Ma – soprattutto – resta vedere se l’umorismo di Vasco sarà colto dai media generalisti italiani, così versati nel rock e nella musica in generale da essersi distinti in questi giorni per aver chiamato il cantante dei Rolling Stones “Maick” Jagger (sic!)
(r.s.)
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Il sapore acerbo dei Queen
20/06/2014 13.10.19
In epoca di ristampe e di rimasterizzazioni, c’è una perla che riemerge dal passato che merita una menzione speciale e una degna aspettativa. A settembre verrà pubblicata (in tutti i formati possibili) la preziosa registrazione del concerto che i Queen realizzarono in una delle due date la Rainbow di Londra, teatro storico che ha dato vita ai migliori live sul vinile di molti gruppi dell’epoca.
E’ una testimonianza preziosa di un momento cruciale della storia del gruppo di Freddy Mercury, Brian May, John Deacon e Roger Taylor. Si tratta a pieno titolo di una presa definitiva di consapevolezza da parte dei Queen e del loro pubblico che qualcosa di grande e di irreversibile stava per succedere nel mondo della musica.
I Queen del 1974 sono una realtà apparentemente acerba, che coniuga un suono molto duro con un’immagine glam con Freddie Mercury che spadroneggia sul palco, vestito come un’aquila bianca, in un abito aderente dalle maniche alate realizzato appositamente per lui dalla stilista Zandra Rhodes.
Mercury non è ancora il cantante istrionico e smaliziato che ha avuto la sua massima espressione a metà degli anni ottanta con il Live Aid, è un Mercury concentrato ed attento che insieme ai suoi tre compagni di avventura sente di avere tutti i mezzi ed il talento per scalare i gradini del pantheon musicale.
A quarant’anni dalla sua realizzazione, Live at the Rainbow ’74 tornerà restaurato con cura, editato, mixato e masterizzato in digitale con molte riprese inedite. Sarà l’occasione per rivedere all’opera uno dei grandi gruppi del passato per scoprire magari che nello scorrere degli anni i Queen non sono soltanto il gruppo da ricordare per le superhits, quanto piuttosto una delle pietre più grezze e significative della storia del rock
(f.b.)
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Indie come “indi-gente”
03/06/2014 14.53.20
Fa tenerezza il dibattito, a dire il vero molto pacato, che ha accompagnato l’annuncio da parte di Brunori (capofila dell’omonima ed eroica orchestra Brunori SaS) di aver accettato l’invito da parte dello squalo delle vendite Ligabue per aprire due concerti del tour che il cantautore emiliano porterà in giro per gli stadi e le grandi arene nelle prossime settimane.
Qual è il problema? Il peccato originale che scontano la maggior parte dei musicisti italiani che si sono fatti le ossa in giro per i piccoli locali, le balere e le fiere di piazza rivendicando la loro natura di artisti indipendenti. Secondo uno zoccolo duro di opinionisti e di appassionati del genere indie-gente, chi si è guadagnato gli onori del pubblico nel circuito underground non dovrebbe mai cedere alla tentazione di fare qualsiasi tipo di compromesso con il mondo prezzolato della musica commerciale.
E quindi niente Sanremo, men che mai alcuna apparizione a Festival targati dagli sponsor e, in questo caso, divieto assoluto di salire sul palco di quel Ligabue che viene visto come il fumo negli occhi dai puristi della cosiddetta musica indie. E di tutto questo il buon Brunori se n’è sbattuto altamente.
Per chi lo conosce dagli esordi è un atteggiamento coerente di chi sfida la notorietà con il sorriso e il necessario realismo. Questo mondo dove viviamo è fatto di tante comunità più o meno omogenee, ma nella musica il concetto resta sempre lo stesso. Non ci sono barriere e non ci possono essere preconcetti.
Chi se li fa o li vuole fare agli altri è solo perché deve difendere quel piccolo orticello che molto spesso è diventato una porzione di cimitero creativo ben coltivato, ma che rimane pur sempre un cimitero.
(f.b.)
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"Caro Giorgio ti schifo come uomo"
23/05/2014 20.44.24
Non c'e' limite al peggio e quando si supera ripetutamente il confine della satira e della critica aspra e costruttiva, i piu' mediocri e i meno dotati si infilano nella rissa come si trovassero ad un banchetto pieno di pietanze prelibate.
Mi tocca parlare di Fabrizio Moro, esercizio gia' difficile perche' lo conosco poco e male. Dopo la sua apparizione da meteora al Sanremo 2009, il Moro (un po' bello e molto svociato), si e' ricavato uno spazio indefinito nel mondo della musica adolescenziale, nel ruolo di mancato Eros Ramazzotti del ventunesimo secolo (gia' un Eros ci basta e ci avanza).
Adesso il Moro riappare sul palco di San Giovanni approfittando della chiusura della campagna elettorale dei cinque stelle e per non farci mancare un po' di spazzatura modifica la sua canzone con cui partecipo' a Sanremo (neanche merita la menzione per l'inconsistenza), per compiacere il popolo della piazza con l'insulto a Giorgio Napolitano non in quanto politoco, ma proprio come uomo.
Modalita' piuttosto curiosa di aggirare forse l'accusa di vilipendio al Capo dello Stato, ma questo conta poco. Fabrizio Moro si dimena sul palco come un poveraccio per raccogliere quattro applausi con l'insulto all'essere umano Giorgio Napolitano. C'e' poco altro da raccontare, registro solo che anche nei periodi piu' bui, la musica ha provato a colpire il potere con piu' classe, con piu' creativita' e con piu' sense of humour.
Non c'e' niente di trasgressivo nello schifare un politico come essere umano se non il segno di un conformismo verso il basso che non trascinerà molti artisti o aspiranti tali.
God Save The Queen, cantavano i Sex Pistols offendendo musicalmente la Sacra Corona d'Inghilterra... Qualcuno ci salvi dai fabrizi mori che fanno finta di fare i rivoluzionari
(f.b.)
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Chapeau!
09/05/2014 11.21.29
Qualcuno aveva pensato che Roger Waters si fosse ritagliato un ruolo da profeta snob dopo i fasti di The Wall. Le sue recenti apparizioni, centellinate ma sempre clamorose, sono state l’occasione per rendere omaggio alla sua lungimirante opera che ha, di fatto preceduto, uno degli eventi più importanti del ventesimo secolo: la caduta del muro di Berlino nel 1989.
Chi aveva pensato questo si deve ricredere. Almeno, dopo le recenti dichiarazioni di Waters alla rivista online Counterpounch, sembra che il bassista dei Pink Floyd abbia poca voglia di appendere gli scarpini al chiodo.
“Ciò che gli israeliani fanno ai palestinesi è simile a quello che gli ebrei dovettero subire nella Germania degli anni ‘30”. Bastano queste poche parole per immaginare quali e quanti saranno gli effetti di una simile presa di posizione da parte di colui che viene considerato, a pieno titolo, uno dei pochi guru viventi della musica rock.
E’ anche vero che Roger Water non ha mai nascosto la sua vicinanza alla causa palestinese, sostendendo il movimento che promuove la libertà, la giustizia e l’uguaglianza di quel popolo che non trova pace da quasi cent’anni. Il punto è un altro. Da troppi anni si discute sulle possibili soluzioni da adottare per far convivere due popoli che hanno visioni e rivendicazioni cosi profonde e radicate da far pensare che in quel lembo di terra si sia abbattuta una specie di maledizione.
Waters lancia un allarme che è diverso rispetto a quelli registrati senza successo da molti anni a questa parte. La condizione dei palestinesi sta peggiorando giorno dopo giorno, condizioni di vita al limite della sopravvivenza e tensioni solo sopite che prima o poi rischiano di esplodere con una forza molto maggiore rispetto al passato. E’ la voce solitaria di visionario che non si arrende ai meccanismi della storia dopo aver già dimostrato che questa può avere un corso diverso.
(f.b.)
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