Cabaret? Concerto? Teatro canzone? Fate un po' voi. Perchè in realtà lo spettacolo messo in scena dal 21 novembre al 1 dicembre alla Sala Umberto di Roma è tutto questo e molto di più. È uno splendido omaggio alla vita multiforme di un grandissimo Enzo Jannacci, cantautore, medico chirurgo, saltimbanco. Un personaggio che a distanza di 11 anni dalla sua scomparsa merita di essere ancora esplorato in alcuni aspetti più intimi e sommersi. Una esplorazione che il regista Lorenzo Gioielli affida ad un istrionico Max Paiella e ad un perfetto Simone Colombari.
Lo spettacolo ripercorre la vita, i successi ma soprattutto gli insuccessi di quel ragazzo figlio di emigrati che a Milano vivono i disagi della periferia e dell’emarginazione. Si comincia con una turnè paradossale, con un gruppo il cui leader era Adriano Celentano, chiamato in Germania nel 1959 a sostituire nientemeno che Elvis Presley. Nel gruppo, oltre a Jannacci tastierista, c’era un certo Giorgio Gaber. La prima serata il pubblico era composto da venti persona, la seconda da due!. Niente paura, il nostro medico non si scoraggia e proprio da quell’insuccesso comincerà a percorrere la sua strada. Componendo capolavori come El purtava i scarp del tenis, brano che nella nostra memoria collettiva viene ricordato come una canzone allegra ma che in realtà parla di un barbone che, in quelle scarpe, ci morirà. O come “Vengo anch’io, no tu no!”, brano inizialmente composto con un testo diverso che parlava dei minatori morti nella strage di Marsinelle in Belgio (1956), testo poi modificato a causa della censura. Poi gli incontri e le varie collaborazioni artistiche con Cochi e Renato, per i quali scrive La vita, la vita..; con Dario Fo, con il quale scrive Ho visto un re!. E poi con Paolo Conte, con il quale compone Sudamerica e Bartali, e poi le varie partecipazioni al festival di Sanremo, dove nel 1991 Jannacci per la prima volta nella storia di quel festival porta una canzone che parla di mafia: la morte di un ragazzo di 13 anni raccontata nel brano La fotografia!. E poi Renzo Arbore ed il controverso rapporto con De Andrè, che utilizzerà la musica di una sua canzone (La mia morosa va alla fonte) come accompagnamento musicale per la poi divenuta famosissima Via del Campo. De Andrè riconobbe poi la paternità della musica a Jannacci, e il diverbio si appianò. E poi ancora Sanremo con Paolo Rossi e la canzone che prendeva esplicitamente in giro il festival (I soliti accordi). E poi il teatro, il cinema, la televisione; e le mille strade percorse da un personaggio cosi eclettico da non poter essere catalogato in alcune specifica categoria. Tutto questo viene narrato e cantato con grandissima capacità attoriale dai due protagonisti sul palco, che si incastrano magnificamente nei movimenti, nella mimica, nel ballo e nel canto. Accompagnati da una ottima band musicale in grado di passare in un istante da atmosfere jazz a quelle del rock, da quelle del blues a quelle del pop. Un percorso musicale che porta lo spettatore sulle montagne russe dell’ascolto. Proprio come impone quel personaggio cosi eclettico. Insomma un viaggio piacevole, divertente, ben raccontato e ben musicato; e che ai non più giovani regale una buona dose di nostalgia nel rivivere le vite straordinarie di quei grandi del passato che oggi non abbiamo più!
21 novembre – 1° dicembre giov. 21 novembre h 20. ven. 22 - sab. 23 novembre h 21 dom. 24 novembre h 17 giov. 28 novembre h 20.30 ven. 29 - sab. 30 novembre h 21 dom. 1° dicembre h 17
Articolo del
26/11/2024 -
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