Anche quest’anno, come ad ogni fine di anno, arriva- “così precisa come quelli della cioccolata fondente”- la mia personalissima lista di consigli musicali riassuntivi. Non mi dilungherò sull’approccio al capodanno ed alla fine dell’anno, da gramsciano è abbastanza comprensibile quanto già il capodanno in sé e per sé mi stia sui coglioni, figurarsi quello di un anno particolarmente barzotto, in cui le uniche cose belle da ricordare, per quanto mi riguarda, sono, per l’appunto, questi album qui.
Parlo di lista perché ovviamente non sarà una classifica, parto con le varie spiegazioni del caso, intanto perché ci sono dentro troppe cose di troppi generi diversi e pochi elementi di paragone comune, poi perché il giochino del migliore o peggiore non mi ha mai entusiasmato più di tanto, ragion per cui i dischi saranno presentati in ordine alfabetico.
Altro punto in questione: si parla solo ed esclusivamente di dischi (e canzoni) italiane, se proprio volete sapere i miei gusti stranieri vi lascio una minuscola top five di assaggio, che comprende Fiona Apple (“Fetch the bolt cutters”), Matt Berninger (“Serpentine Prison”), Bombino (“Live in Amsterdam”), Thurston Moore (“By the fire”), Seu Jorge& Rogè (“Night to dreamer direct- to- disc sessions”).
Altra istruzione per l’uso assolutamente necessaria: oltre alla sezione “canzoni”, che tratta, evidentemente, di brani singoli (non necessariamente usciti come tali, sia chiaro, ma tendenzialmente presi da album che non stanno in lista), ci sono tre sezioni “ufficiali” per i vari dischi: quella del disco d’esordio, quella che tratta di musica folk- word e del suo entourage, e quella della musica d’autore in senso stretto, che sia essa fatta con la chitarra elettrica o con quella acustica poco importa, il filo conduttore è, essenzialmente, l’avere dei testi credibili e ben scritti.
Credo di non dimenticare più nulla, per cui possiamo partire.
Album d’esordio
Adelasia, “2021” - Cominciare con un album che ha per titolo quello dell’anno venturo mi sembra una ottima idea. Oltre a questo, linee di basso fantastiche, poggiate su un tappeto elettronico fresco, e testi scritti in modo molto originale e personale fanno di quest’album uno degli esordi quantomeno più interessanti dell’anno.
Francesco Bianconi, “Forever” - Bianconi rientra in questa categoria solo perché è l’esordio da solista, ma è uno di quelli che conosciamo tutti. Con “Forever” tira fuori un disco coraggioso, dieci pezzi che somigliano a dieci lieder, una ottima ricerca vocale e la solita classe nello scrivere i testi. “L’Abisso” è un pezzo clamoroso, umano nel linguaggio e nei contenuti.
Elasi, “Campi Elasi” - Un elettropop fotonico compone questo incredibile ep d’esordio, fatto di montagne russe e valanghe, in un vortice fatto di bassi magnifici, musica suonata, venature soul e testi taglienti. Un mix fantastico.
Laguna Bollente, “Nord sud ovest sert” - Probabilmente l’album più sporco di questo 2020. Chitarre distorte al limite del dissonante e bassi saturi e martellanti. Il tutto condito con la disillusione incazzata della provincia. Un connubio dal quale non poteva che uscire un esordio magnificamente marcio, nell’accezione migliore del termine. Il titolo, poi, è un colpo di genio. Maledettamente programmatico.
Emma Nolde, “Toccaterra” - La classe di Emma Nolde è direttamente proporzionale alla bellezza del titolo, un neologismo assolutamente immaginifico. Una scrittura già molto matura, mixata ad una ricerca musicale fresca e moderna compongono questo album, carico delle pulsioni di una intera generazione.
Odla, “Oltre il cielo alberato- Quando vi dicono che la musica d’autore è morta fategli ascoltare questo ed i prossimi due album. Un pugno di canzoni compongono un album da cantastorie d’alta classe, un viaggio intorno ad una storia che, come nella migliore tradizione, passa dal particolare all’universale, un disco politico nel senso più profondo e genuino del termine, pieno di commistionie di richiami, un lavoro estremamente verboso e, proprio per questo, visti i tempi, anche decisamente resistente.
Prevosti, “Le gabbie dei tori” - In un attacco di pippobaudismo dico che “L’ho inventato io, l’ho inventato!”. Scherzi a parte, credo di essere stato uno dei primi a parlare di questo disco incredibile, fatto di tanta disillusione ma, al contempo, pieno di sacra incazzatura. Un album potente, che oscilla fra schitarrate elettriche e pezzi più acustici. Chicca- capolavoro la traduzione di Dylan.
Alessandro Rocca, “Transiti” - Prendete un po’ di polvere da sparo, spargetela su un foglio, fate cantare quello che esce da una voce a là De Andre, metteteci sotto delle chitarre con accordi aperti ed avrete “Transiti”. E’ probabilmente l’album che più di tutti è figlio del suo (e nostro) tempo, denso di un’atmosfera di profonda precarietà, dilaniato dal bisogno comunicativo. Fra le perle (ahimè nascoste) della nuova canzone d’autore.
Viadellironia, “Le radici sul soffitto” - Alt rock in salsa rosa. Sembra il nome di un cocktail, è la ricetta per preparare l’album d’esordio di questa band bresciana, che tira fuori un album a tratti ruvido e spigoloso, una ventata di animo punkeggiante di altissimo livello. Un ritratto lucido di un mondo in declino, raccontato con la forza di una scrittura al vetriolo molto interessante
Viola Violi, “Alma” - L’ho ascoltato e sono stato letteralmente rapito. Dalla voce di Viola in primis, e poi anche dalla sua capacità incredibile di spaziare fra i generi, dal nu- soul al rap, pur riuscendo a mantenere una cifra personale enorme. Oltre a questo, lei ha un flow da paura e scrive in maniera veramente incredibile.
Folk-world music
Alfio Antico, “Trema la terra” - Il racconto perfetto di certa Sicilia, quella spigolosa, riarsa, cupa, terrosa. Il Dio del tamburo a cornice si fa produrre da Cesare Basile, e ci trascina in un viaggio dentro la Sicilia in modo minore. Uno spaccato di tutte le contraddizioni che conteniamo.
Simona Boo& Cultural Boo Team, “Fuje” - La bellezza dell’incontro fra culture. “Fuje” è esattamente questo, un enorme e coloratissimo calderone di roba musicale, che gira a meraviglia e che funziona maledettamente. Anche questo è un disco politico, già solamente per le moltitudini che ci ha dentro. Una scrittura di ottimo livello ed una sezione musicale perfetta in ogni sua dinamica fanno il resto.
Eleonora Bordonaro, “Mòviti ferma” - L’esatto opposto, a grandi linee, di quanto detto sopra. Eleonora si diverte ad esplorare nuovi mondi musicali e condirli in salsa sicula, in una operazione di recupero che si spinge nel futuro con nuove forme e nuovi linguaggi, pieni di vitalità e di forza. Un disco che raccoglie alla perfezione il lascito artistico di Orazio Strano, Ciccio Busacca e Rosa.
Eleonora, come loro, fortunatamente, “cunta e canta”.
Flo, “31Salvitutti” - Recensendolo lo avevo definito “lavoro panmediterraneo”. Confermo tutto: lì dentro c’è il meglio della tradizione musicale bagnata dal Mediterraneo, dalle coste spagnole a quelle nordafricane, da Napoli ai Balcani. Un viaggio formato album, sostenuto da una scrittura sincera e profonda.
Fratelli Mancuso, “Manzamà” - Torno alle mie radici, nella mia Terra. Abbiamo sempre avuto la fortuna di avere un sacco di gente che ci sa raccontare. Enzo e Lorenzo Mancuso rientrano di diritto nell’Olimpo dei nostri enormi narratori. Con “Manzamà” ci fanno fare un tuffo nella Sicilia più onirica, nel ritorno alle origini, nella vera ricerca musicale, quella profonda ed appassionata. Ritorno in grandissimo stile.
Nuova Compagnia di Canto Popolare, “Napoli 1534: tra moresche e villanelle” - La storia della musica folk che racconta le storie di una Napoli passata. La Nuova Compagnia di Canto Popolare tira fuori un album elegantissimo, denso di tutta la bellezza della musica partenopea, un magnifico resoconto storico della Napoli di una volta, che riesce a passare una mano di vernice fresca sulla lezione di Giovanni Domenico da Nola. Innovare la tradizione è una delle peculiarità delle opere di recupero vere, e questa della NCCP è una delle più riuscite.
Rocco Rosignoli, “CoVid19 suite” - Non è un album folk nel senso stretto del termine, ma lui, Rocco, è profondamente legato a quella tradizione lì, ecco perché ho preferito inserirlo in questa “sottolista”. Di solito si dice che i contemporanei riescano raramente a raccontare la storia che gli scorre sopra. Rocco è l’eccezione che conferma la regola, questo ep è un racconto drammaticamente lucido, ma al contempo altamente poetico, di un turbinio di avvenimenti storici che ci hanno visti protagonisti. Non ci potevano essere parole migliori per raccontarlo.
Daniele Sepe (e la sua ciurma), “Le nuove avventure di Capitan Capitone” - L’ennesimo capitolo della fortunata saga di Capitan Capitone frutta al mitico Daniele Sepe ed a tutta la sua bellissima ciurma un posto in questa lista. La cosa più bella dei dischi di Daniele è che ti fanno respirare alla perfezione la libertà ed il divertimento che ci stanno dentro, sono il senso più alto del “fare musica”. In più è un lavoro politico, dichiaratamente politico, non solo nelle tante commistioni che ci stanno dentro. E non è mai poco.
Gege’ Telesforo, “Il mondo in testa” - Anche questo è un lavoro politico, lo spirito che lo anima è quello lì. Ed anche questo è un lavoro che trasuda libertà da tutti i pori, una meraviglia sentirlo. Gege’ è un fuoriclasse, e nel disco lo dimostra senza mai farlo pesare. Gli arrangiamenti sono meravigliosi, fanno decollare il disco verso i tanti mondi che Gege’ ha in testa. Le incursioni di Lello Analfino, Daniela Spalletta, Simona Severini ed Ainè (altri quattro fenomeni) definiscono ulteriormente un grandissimo album.
YoYo Mundi, “La rivoluzione del battito di ciglia” - Un titolo in antitesi segna il nuovo lavoro dei mitici YoYo. Un album denso, pieno di poesia e di impegno civile, uno di quegli album resistenti e necessari, fatto anche di tante belle suggestioni sonore, “Ninna nanna del filo” su tutte.
Canzone d’autore
Giuseppe Anastasi, “Schopenhauer ed altre storie” - Ritorna anche Peppe Anastasi, con un album che conferma, qualora ce ne fosse bisogno, il trovarsi di fronte ad una penna ispirata, qualcuno che scrive per necessità. Il suo nuovo lavoro è utilizzabile come vademecum per chi volesse cominciare a scrivere canzoni, ce n’è per tutti i gusti, dalla ballata d’amore al pezzo più ballabile fino all’impegno civile e politico. Insomma, altro che canzone d’autore al collasso!
Paolo Benvegnù, “Dell’odio dell’innocenza” - Benvegnù continua ad alzare l’asticella del suo livello, la sua scrittura sta diventando sempre più inesorabile, il suo lirismo sempre crescente. “Dell’odio dell’innocenza” è una pistolettata secca, “Infinitoalessandrofiori” è un pezzo di una bellezza tracimante. Che fortuna vivere nello stesso tempo di uno così.
Samuele Bersani, “Cinema Samuele” - Risorgere dalle proprie ceneri, un attimo prima dell’harakiri definitivo. Bersani riesce a trasformare delle storie strettamente personali in uno spaccato di vita universale, mi ha profondamente commosso. Ci sono voluti sette anni, ma ne è valsa la pena: il cantautore lucciola ha riacceso, finalmente, la luce.
Carolina Bubbico, “Il dono dell’ubiquità” - Credo che mai un titolo abbia rispecchiato così tanto il contenuto di un album: è perfettamente diviso fra musica d’autore e testi interessantissimi ed una ricerca musicale costantemente orientata verso la freschezza. Tentativo, per altro, estremamente riuscito.
Giorgio Canali, “Venti” - Io vorrei anche smetterla di parlare di dinamite quando ho a che fare col mio Giorgio preferito, ma è decisamente più difficile di quanto pensassi. E’ che “Venti” è davvero dinamite, anche nei suoi pezzi più calmi. Un lavoro lucido, incazzato, vero. Giorgio è un continuo cazzotto in bocca, di quelli di cui c’è un enorme bisogno. Ed anche in questo caso, vivere il suo stesso tempo è una fortuna: se non altro abbiamo qualcuno che ci spiega per bene cosa succede intorno a noi.
Fabio Cinti, “Al blu mi muovo” - Quanta classe, Fabio. Uno degli album di cui mi sono innamorato, uno di quelli scritti per necessità. La chiave è tutta nel sottotitolo, “come evitare di diventare giovani”: come non smettere mai di mettersi alla ricerca, anche filosofica, della bellezza. Bellezza non lo uso a caso: “Al blu mi muovo” è un album di un bello profondamente raro, lo insegue e ci si aggrappa. Ne viene fuori un album puro e potente, uno di quei lavori lenti di cui c’è assoluto bisogno.
ColapesceDimartino, “I Mortali” - Due delle migliori penne della nuova canzone d’autore incrociano finalmente le loro note e tirano fuori un album elegante, un soffio di brezza siciliana che sfiora appena, di quella leggera frescura che non disturba. Un album delicato e poetico, a tratti quasi sognatore, con un pezzo come “Majorana” che riesce a condensare buona parte della nostalgica disillusione sicula.
Lucio Corsi, “Cosa faremo da grandi?” - Probabilmente siamo di fronte all’autore più riconoscibile della nuova generazione, ha una scrittura profondamente sua, carica di immagini poeticamente paradossali. Un album con un afflato glam rock, dei riff fotonici ed una passione smodata per organi e tastieroni. Non è una sorpresa, è una conferma.
Deadburger Factory, “La Chiamata” - Un album profondamente militante, nei toni e nei temi. E’ pieno di sperimentazione, oscilla caleidoscopicamente dal rock al noise, dal krautrock all’avant- jazz, con un muro di percussioni da paura e dei trip psichedelici gustosissimi. Una bomba.
Edda& Marok, “Noio; volevam suonar” - Prendi la penna tagliente di Edda e mettici sopra il basso affilato di Gianni Maroccolo. O anche viceversa. Insomma, fai quella cosa lì e verrà fuori questo album incredibile, a costantemente in bilico fra un ironico lirismo ed una attitudine disturbante. Capolavoro l’omaggio a Claudio Rocchi. “Vi spiego chi siamo, odiamo i Negramaro.” E ciao.
Jet Set Roger, “Un rifugio per la notte” - Roger Rossini è uno di quelli veramente bravi. Racconta Stevenson che racconta Villon: non ne poteva uscire fuori nient’altro che un gran bel disco. Toni cupi alla Nick Cava ed un concentrato di eleganza musicale, per un racconto terribilmente umano di un poeta meravigliosamente umano.
Lucio Leoni, “Dove sei pt.1” - E’ incredibile come Lucio riesca a plasmare la metrica delle sue parole ed il loro flow sulle parti strumentali. Questo è cantattoresimo di livello altissimo, è la phonè di Carmelo Bene, il suo recitar cantando. In più Lucio ha una scrittura clamorosa. Chapeau.
Pino Marino, “Tilt” - Anche Pino, da fuoriclasse qual è, riesce in modo incredibile a raccontare di questo mondo così strano. Lo fa, come al solito, con una cifra assolutamente personale ed elegante. Lo fa con una copertina che è uno spaccato perfetto del Tilt che stiamo vivendo. Con delle canzoni piene di una poeticità pulsante e lucida. Con delle parole cesellate, ed in tempi di grandi urlatori non è affatto scontato. Con un occhio di riguardo verso l’impegno civile. La canzone è politica, e questo è uno di quegli album che ne sono la prova.
Marco Parente, “Life” - Parente quest’anno ha tirato fuori tre album che sono tre approcci diversi alla poesia. C’è la beat generation. C’è il liriso di Dino Campana. E poi c’è il suo “Life”, un album che, nonostante sia stato scritto ben distante da ordalie pandemiche, racconta al meglio le incertezze e le pulsioni dell’uomo, le sue fughe ed i suoi rinascimenti. Tutto montato su una base musicale curata in ogni singolo quarto di tono.
Marco Rovelli, “Portami al confine” - Altra conferma che la canzone è un atto profondamente politico. Questo qui è un album militante, di ispirazione purissima. Il confine c’è per essere superato, per farlo cessare di esistere. “Non posso andare avanti, andrò avanti” scriveva Beckett. Ecco, “bisogna andare sempre avanti, anche se noi non siamo in tanti”.
Porfirio Rubirosa, “Breviario di teologia dadaista” - Ah, non vi basta il titolo per andarlo ad acquistare? Vabbè, sappiate che Porfirio è un punk vero, non solo un dada. Un personaggio di cui c’è un bisogno vitale nel piattume culturale attuale. Il suo ultimo lavoro è una riscrittura dada della Bibbia, un racconto spietato dell’uomo e della sua pessima abitudine di autoassolversi, nascosto sotto spoglie musicalmente leggere. Un lavoro debordante di genialità situazionista e di esuberanza artistica. Lunga vita al capo dei dadaisti!
Fabrizio Tavernelli, “Homo distopiens” - Leopardi non era pessimista, era realista. Fabrizio Tavernelli non è distopico, è realista. Un lavoro fondamentale, a tratti quasi disturbante. Fabrizio è terribilmente spietato nel raccontare questi tempi brumosi, lo fa con un album che è una carica esplosiva di detonante realtà.
The Zen Circus, “L’ultima casa accogliente” - Il Circo Zen torna con un disco pieno di introspezione e di umanità, di poesia e di potenza. Un disco maturo- non che i precedenti non lo fossero- pieno di quella maturità autoanalitica che si acquisisce col passare degli anni. “Non” si candida a diventare uno dei pezzi più belli degli ultimi anni, “Appesi alla luna” uno di quelli più toccanti.
Agnese Valle, “Ristrutturazioni” - Classe su pentagramma, eleganza in poesia. Un’altra meravigliosa conferma per una delle cantautrici migliori della nostra scuola. L’album è un concentrato di arrangiamenti freschi e ricercati e di testi calibrati al millimetro. Un concentrato di bellezza in dodici tracce. “Altro che canzone d’autore al collasso!” parte seconda.
Chiudo la carrellata con quattro album che rientrano ognuno in una sua categoria, a cominciare dallo splendido “Con certo jazz”, live di Fabrizio Consoli, una fusione perfetta fra i funambolismi del grande jazz e la potenza della canzone d’autore nelle sue forme più alte.
Altro album degno di nota è l’omonimo lavoro degli Aut Aut: se raccontare la realtà in modo credibile è abbastanza complicato utilizzando le parole, figuratevi farlo solo con la musica. Bene, gli Aut Aut ci riescono, fornendo il background musicale perfetto per lo zeitgeist attuale, fatto di tempi inquieti ed inquietanti.
Del “Majak!” di Arlo Bigazzi e Chiara Cappelli ho parlato qualche giorno fa, come del resto di molti dei lavori qui presenti. Lo ritiro fuori perché è il connubio perfetto fra musica e teatro, oltre che un fortissimo trait d’union fra musica e poesia e fra le soluzioni infinite che questi due mondi offrono.
A chiudere questo quartetto è una compilation, si chiama “Her dem amade me”, è stata realizzata dal già citato Lucio Leoni per raccogliere fondi per costruire un ambulatorio pediatrico all’interno del centro Alan’s Rainbow di Kobane. Questo ambulatorio sarà intitolato alla memoria del compagno Lorenzo “Orso” Orsetti, militante curdo ucciso dall’Isis. Parlo nuovamente di questa compilation non solo perché è per una ottima causa, ma anche perché dentro c’è un sacco di grande musica, da Pierpaolo Capovilla a Giovanni Truppi, da Margherita Vicario a Marina Rei, da Rita Oberti a Cesare Basile. Una compilation che merita di essere acquistata. Per il contenuto artistico. E per quello umano.
Adesso, come detto sopra, butto giù qualche pezzo singolo che sarebbe un peccato perdersi.
Brunori SAS, “Quelli che arriveranno”- E’ la punta più alta di “Cip!”, un brano commovente, probabilmente fra i pezzi più belli del cantautore cosentino. Come trasformare il dolore in poesia.
Galoni, “L’esercizio fisico di piangere”- “Serve l'esercizio fisico di piangere. Allenare gli occhi come fossero bicipiti. Serve a progettare case sopra gli alberi. Ed io la vedo senza nemmeno troppi calcoli.” Ecco, anche io.
Beppe Gambetta, “Dove tia o’ vento” - L’aderenza magnifica fra musica e testo. Un brano ondivago e poetico, di caleidoscopica bellezza.
H.E.R., “Il mondo non cambia mai” - Un pezzo che è una cannonata rimbombante. Contro tutti i pregiudizi e contro tutte le discriminazioni. Una di quelle canzoni che ci volevano.
Lamine, “Non è tardi” - Io stravedo per Viviana, credo si sia intuito. E questo è uno di quei pezzi che mi fanno letteralmente impazzire. Un minimalismo a sfumature punk condito da una voce bellissima e da una interpretazione pazzesca. Ribadisco, bravura allo stato puro.
Canio Loguercio ft. Sara Jane Ceccarelli ed Andrea Satta, “Ci stiamo preparando al meglio- “Ho imparato ormai come ci si prende cura del dolore”, basterebbe questo verso per far risaltare la bellezza di questo pezzo. Ma c’è molto di più, è un brano denso di tanta speranza, di tanta forza di volontà, impreziosito da tre voci fantastiche ed, a loro modo, complementari.
Alfredo Marasti, “Il gioco del talento” - Curiosi di comprendere come funziona veramente un talent? Ecco, buon ascolto. Alfredo è semplicemente dissacrante, come è giusto che sia in questi casi.
Gabriella Martinelli& Lula, “Il gigante d’acciaio” - Ha esattamente tutto quello che un pezzo dovrebbe avere: carica, potenza, impegno civile, interpretazione, voce. Insomma, una delle scelte su cui ho avuto meno dubbi.
Rancore, “Eden” - Un arrangiamento ossessivo, un flow incredibile ed un brano che, a tentare di comprenderne tutti i piani di lettura, ne avremmo per almeno una settimana. Serve altro?
Tosca, “Ho amato tutto” - Quando un pezzo ti commuove fino alle lacrime non credo serva aggiungere altro. Siamo di fronte ad un capolavoro, ad una boccata di ossigeno necessaria.
Margherita Vicario ft. Izi, “Piña Colada” - Margherita Vicario non sbaglia un pezzo manco con le cannonate. E riesce a mischiare un arrangiamento pop con un testo importante, “ma l’errore più frequente è non vivere il presente, tra depressione e paranoia piega la testa e arriva il boia.” Ennesima conferma.
Volosumarte, “Schiavi del sesso” - Come sgretolare i preconcetti, che si sa, sono ben coriacei, purtroppo, a suon di elettropop psichedelico. Un pezzo enorme e liberatorio.
That’s all, folks! All’anno prossimo.
Articolo del
31/12/2020 -
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