È difficile per me scrivere di questo saggio dedicato a uno dei capolavori di Lucio Battisti, ANIMA LATINA, uscito il 29 novembre del 1974, perché me ne sono occupato in un paio di volumi e in diversi articoli. L’educazione recita che un bel tacer non fu mai scritto, e a questa regola dovrei attenermi, anche per esser parte in causa.
Tuttavia, la somma delle bufale che circolano su Lucio Battisti (magari solo su di lui) è tale che un intervento a proposito è un atto di igiene, anche se paragonabile alla proverbiale goccia nel mare. E poi, in fin dei conti, in questo libro i due autori hanno fatto anche cose buone, che indicherò al termine di questa recensione.
Amore e sciatteria sembrano i numi tutelari di questo volume. Amore per il disco eponimo e l’artista, che traspare in ogni pagina; sciatteria nella compilazione e nello studio delle vicende che hanno portato alla sua creazione. A pagina 7 il volume si apre con una citazione di un’intervista di Battisti, in cui Lucio rifiuta il sistema discografico italiano.
Peccato che non sia del tutto autentica: è una versione riscritta (e più radicale dell’originale) di quella rilasciata da Battisti a “Il monello” n. 6, datato 06/02/1975, fonte non indicata; la riscrittura non è nemmeno degli autori, ma proviene da un articolo di Barbara Costa uscito su Pangea, rivista di estrema destra (ma non c’entra) il 13/09/2019.
Non è un caso isolato. Nella scarna bibliografia (come si fa a non leggere e citare la “Discografia mondiale” di Michele Neri?) è presente il mio “Anima latina”, uscito su Create Space Indipendent Publishing Platform (cioè le edizioni di Amazon) nel 2014, ma è evidente che gli autori non l’hanno letto: non solo il loro saggio segue lo schema del mio “Anima latina”, uscito per Noreply nel 2009 (e facendolo benissimo, perché asciugano notevolmente lungaggini e dispersioni del mio primo libro: qui, applausi), ma, se avessero letto il secondo saggio che ho dedicato al disco, si sarebbero accorti che è impossibile che la registrazione di ANIMA LATINA si sia svolta da giugno a novembre (p. 53) e che “Battisti sul disco continuò a mettere le mani e a fare ritocchi fino a pochi giorni, dalla sua uscita riascoltandolo al Mulino” (p. 54), perché il fonico Bravin ricorda di avere consegnato il master in estate e al Mulino non si poteva lavorare su di esso, in quanto lo studio di registrazione fu allestito da Tonino Grande tra agosto e settembre 1974 e non divenne operativo fino all’arrivo di Gianni Prudente, nella primavera 1975, che affiancò Riccardo Pizzamiglio, lì dall’autunno 1974.
I lavori, invece, si sono conclusi prima del 2 agosto, data della strage di Bologna, di cui il tastierista Maioli ricorda di aver sentito la notizia in vacanza sul lago, dopo essere passato a trovare Battisti che stava ultimando il mix del disco alla Fono Roma. Tutte notizie che ci sono nel mio libro del 2014. Anche la citazione di una mia intervista a Loprevite viene dal libro del 2009 e non da quello del 2014 in cui non ve n’è traccia.
Si sbaglia clamorosamente anche la data delle prove che hanno preceduto l’entrata in studio alla Fono Roma di Cologno Monzese: a p. 76 si dice che iniziarono intorno al 28 maggio, ma Roby Matano, nel suo “Battisti: così è nato il sogno” (Piemme, 2003, pp. 127-129: altro libro che si doveva leggere e citare) ricorda che nella seconda metà di maggio Battisti lo incontrò a Salsomaggiore, confidandogli la sua insoddisfazione per Loprevite. Evidentemente le prove erano quantomeno già iniziate, se non finite.
Altre sciatterie: Tavolazzi, bassista degli Area, viene dato come presente sul disco, a p. 84 in Anonimo e in Abbracciala abbracciati abbracciali, a p. 128 (intervista a Bob Callero) in Anima latina e Abbracciala abbracciati abbracciali. Oibò: in quali brani, dunque?. Eppure, come ha ricordato l’interessato, Tavolazzi stette alla Fono Roma con Battisti per lo spazio di un mattino, al termine del quale se ne andò scocciato perché le prove erano inconcludenti: è evidente che non si registrò nulla (“inconcludenti”).
È vero che Tavolazzi sostituì Callero bloccato dalla Produttori Associati perché sotto contratto con lei così come Franco Loprevite: ma perché allora Callero e Loprevite sono citati, sotto pseudonimo, nei crediti del disco? Perché esiste una foto di Callero con Dall’Aglio, chiamato a sua insaputa a sostituire Loprevite, nei locali della Fono Roma? Perché Dall’Aglio si ricorda di aver registrato i pezzi con tutta la band e in particolare di aver creato il ritmo che caratterizza Abbracciala abbracciati abbracciali?
Un semplice controllo incrociato rende evidente che Callero è tornato a registrare ANIMA LATINA, che di Tavolazzi nel disco non c’è una nota e che il ricordo di Massimo Luca secondo cui vennero riregistrate solo le parti di batteria (p. 148), dopo la cacciata di Loprevite, non è corretto, proprio perché non sarebbe stato possibile rifare un intero brano con un ritmo diverso senza che la band lo risuonasse.
Il volume insiste inoltre a dar credito alla voce secondo cui Tony Esposito sarebbe stato al Mulino a novembre 1974 con il suo produttore Renato Marengo (lui sì presente e autore di una delle più famose interviste di Battisti): ma Esposito aveva appena registrato a Roma, negli studi Chantalain, il suo primo album, tra settembre e ottobre 1974 (sarebbe stato pubblicato a dicembre); il secondo disco, PROCESSIONE SUL MARE, sarebbe stato effettivamente registrato al Mulino, ma a settembre 1975, come emerge dai ricordi dei suoi compagni di band d’allora da me intervistati nel mio saggio del 2014.
Veniamo appunto alle inesattezze sul Mulino: a p. 41 lo si dà come dotato di studio di registrazione già dal 1971, ma, come già detto, esso non c’era prima dell’autunno 1974 e non sarebbe stato operativo prima della primavera 1975. Altra inesattezza circa il Mulino: a p. 110 si dice che sarebbe rimasto in attività “fino agli anni Ottanta, poi un po’ di alluvione lo ha reso inagibile”: ma l’alluvione avvenne a ottobre 1976, durante la registrazione de I LUPI di Ivan Graziani, e quella è la data di cessazione della sua attività come sala di registrazione. Altre amenità: Una giornata uggiosa datata 1981 (è del 1980); la vendita della Numero Uno datata ben due volte a inizio 1974, perfino nell’intervista a Mogol (che infatti rimane confuso di fronte a questa affermazione), mentre è del 15 gennaio 1975; alle pp. 85-86 si dice che Mogol e Battisti nel loro viaggio in Brasile del 1974 “incontrarono probabilmente fra gli altri anche Antonio Carlos Jobim, Chico Buarque, Toquinho e Vinicius de Moraes”, ma, oltre al fatto che di simili incontri Mogol si ricorderebbe (e invece non ricorda nulla del viaggio), Toquinho e Vinicius de Moraes erano impossibili da incontrare in Brasile perché nel 1974 vivevano in Italia.
È poi stato dimostrato da Michele Neri che il testo di Umanamente uomo: il sogno, strumentale, il testo depositato in SIAE non è uno inutilizzato da Mogol, come affermato a p. 81, ma è opera di un funzionario SIAE.
Fantasia al potere: si afferma che i testi di Anonimo e Il salame sarebbero stati censurati dalla RAI per il loro contenuto sessuale (pp. 70 e 90), ma non ci fu nessuna promozione del disco e i due brani non erano neppure previsti come 45 giri (non ce ne fu nessuno, in realtà, tratto dall’LP): cosa avrebbe dovuto dunque censurare la RAI? Forse gli autori hanno documenti che certificano un divieto di trasmissione dei due pezzi? Perché non li citano?
Inoltre, a p. 40 viene proposta la famosa citazione dell’“immagine squallida e consumista che mi hanno cucito addosso”, che viene datata 1970: ma si tratta di un apocrifo, perché in tutte le innumerevoli volte in cui è comparsa non ne è stata indicata la fonte, né finora gli studiosi la hanno rintracciata. Milioni e Albonico sono riusciti nell’impresa? Perché non citano la fonte? Infine, come tema di Separazione naturale, brano conclusivo del disco, vengono proposti o un desiderio di cambiamento da parte di Battisti o la morte di un amore o di un fiore: peccato che Mogol stesso abbia detto che si tratta della morte, quella vera, tanto a me nel 2009 quanto nella “Mogol edition” dei suoi album con Lucio Battisti del 2010 (altra fonte che conveniva leggere e citare). Ci sono poi le inesattezze di contesto.
Il fallimento del progetto della rentrée live di Battisti al Parco Lambro 1976 viene attribuito ai “troppi rischi” (p. 109), ma avvenne invece in seguito al fallimento dell’incontro al Mulino tra Mogol, Battisti, Marengo, Andrea Valcarenghi, Cesare Monti, Vanda Spinello, Gianfranco Manfredi, Mirella Lisignoli del 17 settembre 1975 per un litigio circa il presunto maschilismo dei testi di Io ti venderei e Dove arriva quel cespuglio. Delle voci che giravano all’epoca sul presunto fascismo di Battisti si dice che egli “al riguardo non ha mai voluto smentire o confermare” (p. 29): ma erano cose che si dicevano privatamente e che mai nessun giornalista gli ha sottoposto.
Nei colloqui privati Battisti ha sempre ribadito il suo disimpegno politico, e si hanno testimonianze che Battisti avrebbe votato PCI nel 1975 (anche nell’intervista qui riportata di Callero) e più tardi Partito Radicale; Lauzi parlava di Battisti come di un liberale. Ce ne sarebbero ancora da dire, ma “io mi fermo qui”, come fece cantare Mogol alla Formula 3.
Come promesso, ecco gli aspetti positivi del libro: le interviste ad alcuni dei protagonisti, belle e piene di spunti anche se non passate al vaglio della verifica dei ricordi personali e dell’incastro tra di essi; la notizia del fatto che la composizione del ritmo di Abbracciala abbracciati abbracciali spetta a Dall’Aglio, comparsa in un’intervista per un oscuro sito internet e quindi altrimenti destinata a rimanere inosservata; un discreto inquadramento nel contesto musicale e storico dell’epoca, al netto degli errori. In definitiva, però, non posso consigliare l’acquisto del volume, per i troppi errori in esso contenuti, se non a studiosi che vogliono acquisire tutto il materiale disponibile su Battisti, specie a fronte delle nuove testimonianze qui riportate
Articolo del
13/01/2025 -
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