Pubblicato dall’etichetta Romolo Dischi, “In the Night” è il primo disco della vocalist Gabriella di Capua. Un progetto trasversale con sonorità che spaziano tra il jazz, il new soul, l’elettronica e l’hip hop dove si raccontano, storie, emozioni e pensieri. Ecco cosa ci racconta Gabriella di questa sua nuova avventura discografica
Ciao Gabriella e bentrovata: cominciamo l’intervista parlando del disco, ti va di raccontarci come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo? Questo progetto è nato tanti anni fa, quando avevo 21 anni ed ero in una situazione emotiva strana e instabile, da lì ho cominciato a scrivere ciò che sentivo raggruppando circa 10 tracce che avevano un sound diverso. Poi dopo aver vinto la borsa di studio come “miglior cantante” secondo Ornella Vanoni, due anni dopo i primi testi, ho capito che la mia strada doveva essere quella e ho deciso di far evolvere quei brani dandogli una forma musicale diversa.
”In The Night" è un disco trasversale, fatto di diverse anime e linguaggi: c’è un filo conduttore che lega tutte le canzoni che lo compongono? Il filo conduttore è la mia storia, cioè i pensieri che attraversavano la mia mente in quel momento. Dopo di che, c’è un filo conduttore anche a livello musicale, che parte dal jazz, ovvero la musica che lega me e tutti i musicisti che hanno partecipato, che arriva all’hip hop, al pop, al soul, R&B, elettronica. Insomma, tutta la musica che mi piace.
In generale cosa racconti attraverso i testi delle tue canzoni? In questo caso particolare, ho raccontato di me, di quel ragazzo, di ciò che mi faceva sentire, nel bene e nel male, ma anche del mio approccio con il mondo, le persone, come tutto si riflette nell’arte, dell’enorme importanza che ha per me e quanto poco potesse importare a quella persona e agli altri
Ci vuoi parlare del tuo processo creativo? Come nasce generalmente un brano e poi come lo costruisci in sala? I miei brani nascono spesso da un sample, un giro armonico o un beat e dopo scrivo un testo su ciò che è venuto fuori. In sala cerchiamo di capire prima quali strumenti vogliamo, che suono cerchiamo e poi ragioniamo per livelli. Batteria e piano suonano insieme e registrano una base che farà da livello 1, poi ci si aggiungono altri livelli dei synth e dei soundscapes e infine registro io la voce e la melodia
Invece nel periodo del lockdown è cambiato qualcosa nel tuo modo di comporre i brani? Sicuramente un’attenzione maggiore ai temi dei testi, cioè di instabilità mentale e chiusura, condizione precaria e le conseguenze sulle persone ma anche un tentativo di speranza e di cogliere il meglio anche da una situazione grave e ignota.
Live o studio: quali di questi due aspetti preferisci di più? Sono due aspetti che rappresentano i due versanti della medaglia, aspetti legati ma anche separati in un certo senso. Il live è veritiero, è lì che si capisce di che pasta si è fatti e la bravura degli artisti, perché è tutto dal vivo e non c’è spazio per dubbi e errori. In quel momento c’è il contatto con le persone, l’ansia di non piacere o di sbagliare, l’aspetto della preparazione del personaggio, dai capelli al make-up, l’outfit, le luci, i colori. Lo studio è il momento di creazione, non ci sono testimoni, ma ce ne saranno dopo, è un lavoro che stai facendo in quel momento ma di cui coglierai i frutti dopo ed è come sancire la propria immortalità. Sto lasciando una testimonianza su un disco, o su un file, lo disperdi nel mondo e anche tra 100 anni se qualcuno se ne ricorderà, si potrà ascoltare una mia canzone. In studio puoi essere chiunque tu voglia essere, non è necessariamente collegata la tua voce al tuo nome e si può agire manipolando i suoni e creando sperimentazioni
Per quanto riguarda il tuo background, invece, come ti sei avvicinata alla musica e soprattutto al canto? Mio padre è un pianista e da quando ho 4 anni studio musica. All’epoca suonavo il piano, poi verso gli 8 persi interesse e ritornai all’arte verso i 14 con la pittura e il disegno. Dopo di che, mi era tornata la voglia della musica, prima da ascoltatrice, dove mi facevo portare a un sacco di concerti e festival jazz. Poi verso i 17 ho iniziato a cantare per caso, provando un microfono a casa per gioco. Ma da lì è iniziato un odio e un amore profondo, che oggi è decisamente amore
E quali sono gli stili musicali a cui ti senti più affine in questo momento? Una giusta sintesi tra sonorità jazz, tensioni ed elettronica, anche beats hip hop old school. In realtà non so come definirlo, dicono tutti nu soul o nu jazz ma non credo mi piaccia come etichetta. Ancora devo capire come chiamarlo, ma Pirandello diceva che una volta definita una cosa o un concetto, equivaleva alla fine di esso, alla sua morte. Mi trovo d’accordo e forse è destino che io non sappia mai come definire lo stile musicale a cui mi sento affine Dopo questo progetto stai già pensando a qualcosa di nuovo? Si da un po’ di tempo. Sarà un progetto più intricato a livello di temi trattati, non mi va di riparlare di sentimenti e basta. Certo un pizzico di dettagli personali ce ne saranno sempre, ma vorrei distaccarmi dalle classiche canzoni che parlano d’amore. Sarà in inglese e in italiano, ma non so dire molto altro perché cambio idea in continuazione a riguardo
Articolo del
28/07/2021 -
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