Ogni anno, ad ogni fine Festival, vuoi per inclinazione personale, mi sale addosso un po’ di malinconia nostalgica, di quella che ti prende quando qualcosa finisce, quella che sembra quasi una patina che copre il tempo passato e ce lo farà ricordare accompagnandolo da un sorriso quasi compassionevole. Pensavo che quest’anno, a maggior ragione per essere stato il primo Festival seguito ufficialmente per un giornale, sarebbe stato anche peggio. Ed invece no, stranamente no. E credo sia anche colpa di questo articolo, fatto di consuntivi. Se gli altri anni avevo visto il Festival come qualcosa di altro da me, quest’anno posso dire di averlo vissuto praticamente in prima persona, averlo quasi introiettato, a tal punto da non sentirne la mancanza. E, ripeto, probabilmente è stato grazie a questo mega consuntivo finale, realizzato, ovviamente, anche col contributo di Annagrazia, che ha stilato la sua personale classifica di top e flop. Quindi, beh… buona lettura!
Annagrazia Schiavone. Top e Flop È stato il Festival dei passi indietro, degli scivoloni e delle cadute (vere e preparate), degli abbandoni, degli orari tardi. Un’edizione, la settantesima, o, come di direbbe Amadeus Sanremo 20/20 (vi prego, basta) preceduta da una scia di polemiche, ma che ha sorpreso, con continui colpi di scena. Dal 4 all’8 febbraio, infatti, non si può dire che al teatro Ariston ci si sia annoiati. E allora ecco quali sono stati, secondo me, i “top” e i “flop” di questo tour de force infinito. Partiamo dai brani e dalle esibizioni dei cantanti in gara. Tra i cosiddetti Big, 2, in particolare, hanno tenuto banco, facendo parlare di sé ovunque. Achille Lauro vince tutto con i suoi look e la sua teatralità. Dalla prima all’ultima sera indossa capi stravaganti, che in un crescendo di sbrilluccichi, make-up, calze a rete e gabbie, raccontano metaforicamente una storia e una versione ogni volta diversa del cantante. È vero, l’avevano fatto anche altri artisti, da Renato Zero ad Anna Oxa, a Loredana Bertè. Ma Achille porta l’innovazione su quel palco (in Italia, in questo momento, ci vuole davvero poco, secondo il mio parere), anche, e soprattutto, quando omaggia San Francesco, lo Ziggy Stardust di David Bowie, la Divina Marchesa Luisa Casati Stampa, Elisabetta I Tudor, mischiando sacro e profano e quando bacia il suo chitarrista Boss Doms. Per apostrofare letteralmente la sua canzone, se ne frega: delle etichette, delle critiche, del perbenismo. Poi ci sono Bugo e Morgan. La prima serata la portano a casa insieme e intrattengono pure il pubblico dell’Altro Festival (che, quest’anno, è stato particolarmente libero e improvvisato, direi indipendente, anche perché è andato in onda solo su Rai Play) cantando e suonando i Duran Duran e The Buggles. Dalla serata delle cover, cominciano i problemi. Morgan lamenta il fatto di aver provato poco, chiede di dirigere l’orchestra durante la sua esibizione e, in caso contrario, minaccia di andarsene. Arrivati sul palco non cantano bene, sono distanti, ma fanno comunque un’esibizione teatrale con Morgan in questa nuova veste. L’orchestra, giudice della serata, si vendica piazzandoli, ingiustamente, all’ultimo posto. Venerdì sera, a notte inoltrata, il colpo di scena: Morgan modifica il testo della canzone Sincero, rivolgendo delle parole abbastanza offensive a Bugo (qualcuno poi dirà che, forse, quelle parole erano dirette allo stesso Morgan) che, improvvisamente, lascia il palco. Vengono squalificati. Su questa vicenda tanto si è detto e tanto si è scritto. Personalmente, molti dubbi mi sono sorti da quel però scappato ad Antonella Clerici mentre li stava presentando, che faceva capire che qualcosa stesse per succedere. Potrebbe essere stato architettato tutto, oppure no, non lo sapremo mai. In ogni caso, Bugo e Morgan sono stati rivoluzionari e imprevedibili e sarebbe un peccato se, dopo questo episodio, il loro sodalizio, umano e artistico, finisse. Continuando, tra i miei “top” inserisco la grinta di Rita Pavone, la presenza scenica, la scelta di portare all’Ariston la LIS dei Le Vibrazioni e la voce di Francesco Sàrcina (che, nell’ultima serata farà un passo indietro rispetto all’interprete Mauro Indolo), la carica di Piero Pelù, la padronanza del palcoscenico dei Pinguni Tattici Nucleari. Passiamo al tasto più dolente, i testi delle canzoni. I rapper sono i migliori: Anastasio, Rancore e Junior Cally rappano parole dure, dirette, anticonformiste, senza rinunciare a una presenza scenica che spacca. Tra le presenze femminili, i testi di “Tikibombom” e di “Ho amato tutto” di Levante e Tosca sono ottimi; il primo è una dedica agli esclusi dalla società, il secondo una dichiarazione di una donna matura che non si è risparmiata. Le due donne, diverse, sono raffinate, caratteristiche, hanno classe. Tra i testi più sanremesi, i migliori, a mio parere, sono stati quelli di “Dov’è” (Le Vibrazioni), “Viceversa” (Francesco Gabbani) e di “Fai rumore” (Diodato), la canzone vincitrice del Festival. Come mi aspettavo, nella serata delle cover, che quest’anno dovevano essere scelte tra i brani della storia del Festival, artisti che non erano emersi prima, si sono rivelati interessanti. D’accordo con il primo posto, attribuito a Tosca che, insieme a Silvia Pérez Cruz, realizza una versione di “Piazza Grande” di Lucio Dalla raffinata, coinvolgente e vocalmente perfetta. Bellissima “E se domani”, cantata da Raphael Gualazzi< (musicista magistrale) e Simona Molinari, che ci portano indietro nel tempo, all’epoca del blues, dello swing e di un’eleganza senza pari. Rancore, Dardust e La Rappresentante di Lista riescono nell’impresa, non facile, di dare nuova pelle a “Luce (Tramonti a Nord-Est)” di Elisa, presentando il brano musicalmente più dinamico e contemporaneo della serata; Diodato e Nina Zilli mettono in scena un vero e proprio spettacolo con 24mila baci. Posto importante in questo Festival, è stato dedicato alla teatralità. Nella serata delle cover, Enrico Nigiotti e Simone Cristicchi emozionano cantando, quasi recitando, la splendida Ti regalerò una rosa. Paolo Jannacci, Francesco Mandelli e Daniele Moretto omaggiano Enzo Jannacci e la sua “Se melo dicevi prima”, mischiano la sua ironia, il suo sarcasmo e il teatro-canzone di Gaber in modo perfetto. Achille Lauro e Annalisa riescono a reggere il confronto con “Almeno tu nell’universo” dell’immensa Mia Martini, perché restano loro stessi. Inoltre, Achille, vestito da Ziggy Stardust sta un passo indietro ad Annalisa, mettendo in scena uno spettacolo teatrale. Teatrale, semplice ma intenso, è anche il rifacimento di “La musica è finita”, realizzato da Irene Grandi e Bobo Rondelli. Passiamo ai Giovani: i più bravi e interessanti sono stati eliminati. Gabriella Martinelli e Lula portano “”Il gigante d’acciaio un pezzo rock e politico, contro l’ex Ilva di Taranto, spettacolari. Eugenio in Via di Gioia, con “Tsunami”, è scanzonato, geniale, balla, suona tastiere al posto della batteria; la sua permanenza sul palco dell’Ariston dura quanto un gatto in tangenziale. Terminati i “top”, mi sposto ai “flop”. E qui, va bene l’essere alternativi, va bene la stravaganza, ma Sanremo è una gara canora, saper cantare dovrebbe essere un requisito imprescindibile per poter partecipare. Ad ascoltare Riki ed Elettra Lamborghini non si direbbe. Il primo risulta banale e si affida all’autotune ma non riesce a mascherare le sue mancanze. Della seconda non sono riuscita a capire quello che diceva. La sua voce è scomparsa, così come la musica (è stata chiara fin dal titolo). Per carità, simpaticissima, ma anche la presenza scenica lascia a desiderare, troppo provinciale. Alberto Urso, invece, sa cantare divinamente, è un tenore, ma è troppo vecchio. Tra i giovani, “Nel bene e nel male” di Matteo Faustini è smielata e prevedibile e “8 marzo” di Tecla parla di un tema nobile, con un testo neanche così tanto male, ma lei è troppo immatura e impersonale. Sanremo non è solo musica, è risaputo. Partiamo dai conduttori e dagli ospiti fissi. Amadeus, partito con il piede sbagliato, ha condotto piuttosto bene, ma non mi ha entusiasmato. A fare la differenza, invece, è stato Rosario Fiorello: l’apertura del Festival vestito da prete, lo sketch dell’imitazione di Maria De Filippi, il lento con Amadeus, la sua verve, il suo carisma e la sua comicità rimarranno nella storia. Peccato che neanche lui sia stato indenne alle polemiche (vedi Tiziano Ferro, i cui omaggi alla musica italiana sono statti di valore ed emozionanti, un po’ troppo rigorosi e retorici per i miei gusti). Top è stata anche Rula Jebreal, con (si, in questo caso è bene sottolinearlo) la sua bellezza, il suo monologo contro la violenza sulle donne e la sua intelligenza. Menzione speciale per il direttore d’orchestra per eccellenza: Beppe Vessicchio, senza di lui non sarebbe Sanremo e per i look, abbastanza stravaganti, dei suoi colleghi. I “flop”? Diletta Leotta e la banalità, la prevedibilità e l’incoerenza del suo monologo della prima serata. Le presentazioni, sempre imprecise, di Georgina Rodriguez. D’accordo, non è italiana, ma, la stessa sera, la conduttrice albanese Alketa Vejsiu l’ha sbaragliata: presenta, canta, recita un monologo e fa tutto molto bene. Passiamo agli ospiti: mi aspettavo di più. Il momento più alto di questo Festival, secondo me, si è raggiunto con Paolo Palumbo, cantautore malato di Sla che, escluso dalle selezioni di Sanremo Giovani, ha comunque cantato all’Ariston, aiutato da un comunicatore vocale e accompagnato da Kumalibre e Andrea Cutri, la sua storia, con il brano Io sono Paolo. Malato di Sla è anche il ballerino Ivan Cottini che, nella serata finale, balla “Fragile” di Elisa. Ospite musicale di spessore è stato Zucchero, in forma e super coinvolgente, un grande artista, senza dubbio. Discreta, ma importante, la comparsata di Emma, Alessandra Amoroso, Fiorella Mannoia, Laura Pausini, Elisa, Giorgia e Gianna Nannini. Le 7 artiste salgono sul palco per annunciare che il 19 settembre, all’Arena Campovolo, ci sarà “Una, nessuna, centomila”, un concerto contro la violenza sulle donne e di genere; il ricavato delle vendite dei biglietti andrà a diversi centri antiviolenza. Non sono una grande fan di Roberto Benigni, ma ho gradito il modo in cui ha spiegato e riattualizzato il “Cantico dei Cantici”, sdoganando in prima serata parole legate alla sfera sessuale. Non sono neanche amante della trap ma, per tornare alla finzione e al teatro, bella è stata la finta caduta di Ghali che, ospite della quarta serata, scivola giù per tutti i gradini. In realtà, si trattava di uno stuntman, il vero Ghali arriva subito dopo; un bell’espediente per svegliare l’Ariston. Gli ospiti mi hanno delusa molto. Tra i flop l’esibizione sulle note di “Cogli l’attimo”, in playback e con autotune, di Al Bano e Romina Power, grandi ospiti della prima serata, simpatici, nazionalpopolari, ma non mi è scesa proprio giù. Il playback e l’autotune vanno di moda: a usarli sono stati anche i Ricchi e Poveri, che, nella seconda serata, si presentano, per la prima volta dopo 40 anni, con la formazione originaria a 4. Il medley dei loro più grandi successi mi è sembrato un lasso temporale infinito, a dir poco imbarazzante. Sempre mercoledì 5 febbraio, sul palco dell’Ariston arriva Gigi D’Alessio. Direi che potevamo farne a meno. Abbastanza imbarazzanti le classifiche della giuria demoscopica, vendicativa quella dell’orchestra, più giusta, ma non del tutto (è normale, non siamo mai contenti), quella della sala stampa. Finisco col notare alcuni errori e stranezze: la pubblicazione sui social dell’avvenuta vincita, tra i Giovani, di , lo scorrere, in sovraimpressione, delle sue percentuali di voto alle 02.20 di notte, “però” scappati involontariamente e, sono sicura, qualcos’altro che mi sarà sfuggito. Che l’Ariston sia stato abitato da un fantasma? Sanremo è finito. Fin da piccola, mi è sempre piaciuto il fatto che per una settimana, in Italia, non si parli d’altro (più o meno) e che, nel bene e nel male, il Festival è lo specchio della nostra società. È un’estenuante maratona (mai come quest’anno, visto che quando le puntate finivano, le prime luci dell’alba erano già visibili), un grande Carrozzone, nel quale, inevitabilmente, si mischiano momenti aulici e banali, buono e cattivo gusto. Nell’edizione 2020 sicuramente sono successe tante cose; se ne continuerà a parlare per un’altra settimana e poi la vita andrà avanti, inesorabile e molte cose finiranno nel dimenticatoio. Al prossimo Festival della Canzone Italiana.
Giuseppe Provenzano. Chi sale e chi scende Per quanto mi riguarda, questo Festival ha avuto essenzialmente tre assoluti vincitori “da palcoscenico” e qualche altro in valori assoluti. Il primo di questi, il vincitore vero del Festival, è stato Fiorello: semplicemente straripante, un animale da palcoscenico, capace di coinvolgere tutto il coinvolgibile. Fa praticamente quello che vuole, il palco è casa sua e si vede. Balla, canta (risultando molto più preciso di un bel po’ dei partecipanti), improvvisa. Alla fine della festa è il valore aggiunto del Festival, e quando non c’è (nella serata di giovedì) si sente. C’è del fiorellismo, decisamente sì. Altro personaggio che esce da vincitore assoluto è Achille Lauro. L’hype che è riuscito a creare prima di ogni sua esibizione è una cosa praticamente mai vista. Il suo istrionismo ha diviso, per quattro giorni non si è praticamente parlato di altro. In più, oltre alla sua bravura nello stare su un palco, si dimostra un artista sensibile ed, in un certo qual modo, anche molto profondo, prove ne sono la sua “Gli uomini non cambiano” ed i comunicati mandati alla stampa nei quali spiegava il come ed il perché dei suoi travestimenti. Achille Lauro non è un mostro, piuttosto direi che è un qualcosa di cui si avvertiva il bisogno, soprattutto in una cornice come Sanremo. E meriterebbe delle scuse. (PS. Io qui ho poco spazio, chè rischierei di non finire più, ma, se vi interessa capire il perché di quanto scritto, c’è un bell’articolo di Daniele Cassandro, su Internazionale, che riassume tutto alla perfezione.) Altri top del Festival sono Bugo e Morgan. Sono già molto cinico come persona, figuratevi se non dovessi esserlo come giornalista e critico. Ecco, proprio per questo motivo tutto quello che è successo in scena, dal cambiamento di testo di Morgan all’abbandono di Bugo, l’ho trovato estremamente punk. E’ stato tutto incredibile, ed è impossibile non ammettere che sì, hanno vinto loro. In quaranta secondi hanno polverizzato tre giorni di monotematica attenzione mediatica su Achille Lauro. Chapeau. Altre grandi vittorie “morali” sono quelle di Tosca e Rancore. Il ritorno di un’artista immensa come Tosca, con un distillato di bellezza come “Ho amato tutto”, pieno di eleganza e di sentimento, è un toccasana per la musica italiana. In quel brano c’è praticamente tutto: armonia, precisione vocale, interpretazione da fuoriclasse, ottima scrittura di testo. Insomma, una lezione su cosa significhi fare musica. Che dire, signori? Nulla, basta solo alzarsi ed applaudire. Ed, ovviamente, promuovere la grande musica. Rancore porta un brano con un testo potentissimo ed un ritornello che si pianta in testa. E dà il senso di cosa significhi “fare rap”, scevrando il genere di tutti quei lustrini e quei dissing inutili che intossicano ogni giorno un genere che sta diventando sempre più cantautorale, anche e soprattutto grazie a gente come lui o Murubutu, di cui si parla ancora troppo poco. Insomma, prima il mainstream era Fedez, adesso comincia ad essere Rancore: stiamo migliorando, coraggio. Fra i top anche il sorriso di Paolo Jannacci, e la sua versione meravigliosa di "Se me lo dicevi prima", stupendamente commovente. Altra menzione fra i top per Gabriella Martinelli e Lula, vincitrici morali delle nuove proposte. “Il gigante d’acciaio” è un vero e proprio j’accuse sulla gestione di una delle realtà peggiori della penisola, un posto che manda a puttane l’Articolo uno della nostra costituzione, non si può “scegliere se vivere o lavorare”, e chi obbliga a questa scelta è un criminale. E’ un pezzo che mi fa venire i brividi ogni ascolto di più, una cannonata. E’ esattamente la mia idea di “canzone”: ritmo incredibile, testo da brividi ed impegno civile. Un pezzo fondamentale in tutti i sensi. Un pezzo politico, volutamente schierato. E proprio per questo non sanremese. Ma va benissimo così. Anzi, per fortuna che è così. Anche Zucchero rientra nei miei top, sicuramente il migliore fra gli ospiti. Classe infinita, anima soul e venature blues. Dà anche lui una lezione su cosa significhi fare musica. Enorme. Promosso a pieni voti anche L’Altro Festival, un programma che, già dallo scorso anno, si era ritagliato il suo spazio da “officina della musica”, fra improvvisazioni e collaborazioni strane, ad esempio Nigiotti e Zarrillo che suonano Jimi Hendrix: spettacolo. Altri top sono tre direttori d’orchestra, uno che è un simbolo, e merita solo applausi, ed ovviamente è il grande Beppe Vessicchio. Gli altri due, decisamente meno sanremesi, sono Rodrigo d’Erasmo e Beatrice Antolini, per presenza scenica e (non me ne vogliano gli altri)animo punk decisamente azzeccati nel sembrare fuori luogo. Stupendi. L’ultimo top è un grande, grandissimo collega, uno di quelli a cui chi fa questo lavoro deve guardare per forza, Vincenzo Mollica. In piedi, signori, in piedi. In mezzo, in un limbo con più lode che infamia, colloco un Diodato che finalmente si prende un riconoscimento meritatissimo, dei Pinguini Tattici Nucleari che tengono il palco in maniera paurosa, come se si fossero da sempre esibiti all’Ariston, una Elodie con un brano costruito in maniera praticamente perfetta, ed un Piero Pelù enorme, anzi “Gigante”, per carica ed animo rock, un manifesto intergenerazionale. Menzioni anche per Antonella Clerici e Mara Venier, che buttano in pista tutta la loro esperienza, e la conduzione di Amadeus, molto precisa e fresca, checchè se ne dica. Oltre a loro, il mio premio simpatia va a mani basse ad Elettra Lamborghini: già la sua reazione all’annuncio della squalifica di Bugo e Morgan meriterebbe almeno un abbraccio di incoraggiamento, poi quell’aria completamente stralunata, da “non ho ben capito dove mi trovo, ma è fighissimo”, me l’ha fatta prendere ad immediata simpatia, nonostante con me abbia collezionato due 0-. Momento flop. Impossibile partire dalla durata delle dirette, estremamente lunghe e, a tratti snervanti. Dei sequestri di persona in piena regola. Altro enorme flop Benigni, che straperde il confronto con Fiorello. Vero che facevano due cose abbastanza diverse, ma tanto è stato imprevedibile e fresco l’uno, quanto inutilmente verboso l’altro. Durante il suo monologo, in un primo momento, avrei voluto avere accanto un bottiglione di assenzio, tracannarlo tutto e sprofondare nel divano in preda a visioni mistiche. Poi mi è preso il riso isterico, intorno ai venticinque minuti. Infine ho avuto una tentazione fortissima di correre per casa urlando “Geronimo” ed andando a sbattere forte la testa contro ogni muro o oggetto che potesse, in qualche modo farmi male. E so che per voi vale lo stesso, non mentite che siete più falsi del monologo sulla bellezza casuale della Leotta. Fra l’altro, anche lei enorme flop. Completamente inadeguata in qualsiasi performance, mi sono sentito a disagio per lei. Ed andiamo a qualcosa che mi farà beccare un bel po’ di critiche, più o meno velate: il monologo di Rula. Tendenzialmente sono ipercritico su queste cose, ed ho una soglia della sopportazione davvero bassa. Non mi piace il modo di porre certe questioni, lo trovo spesso quantomeno inadeguato, se non retorico e/o tendente al pietismo. E, seppur con dei distinguo, in questo caso le mie reazioni non sono state dissimili. Ma sarà sicuramente un problema mio. Altro floppone il playback dei Ricchi e Poveri, assolutamente palese nel tentativo di dissimularlo. Gli va reso merito, comunque, per aver fatto davvero ballare l’Ariston, e, vista l’ora, non era scontato. Il flop dei flop rimangono però giuria demoscopica e giuria “orchestrale”, che prendono più cantonate che altro. Totalmente inadeguate, stavano per rovinare un Festival. Ah, fra i top metto anche Annagrazia, che mi è venuta dietro nell’idea, e non era una cosa scontata, e che si è dimostrata una collega preparata e competente. Davvero davvero tanta roba, complimenti. E adesso, “ite, missa (anzi, festival) est”. Al prossimo anno, al prossimo Festival
Articolo del
11/02/2020 -
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