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Novamerica
“A nessuno piace lavorare”
2024
di
Domenico Capitani
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Mi ha un poco punto sul vivo la sua dichiarazione che trovo in cartella stampa quando dice: «Questo album mi sembra non c'entri nulla con il panorama musicale italiano attuale, percepisco però un bisogno di canzoni, quelle che si scrivevano una volta: testo, accordi e voce senza autotune». Si certamente non ci sono ritrovati di questo tipo ma c’è ben poco che si disconnetta dalla scena musicale attuale. Anzi… questo nuovo (e bello devo dire) disco di Novamerica ha tantissimi cliché in fila indiana che personalizza sicuramente, ma che comunque attingono a piene mani da tanto della letteratura nostrana… e secondo me molte cose provengono dal passato degli anni ’90. Come la prima “Dio è diverso da lei” che tradisce quella vena rock che permea un po’ tutto il sottobosco del disco. Dalle progressioni alla Europe alla voce decisamente indie italiana, è una mistura che mi ricorda cose belle di Luca Carboni con quel piglio vocale graffiato (assai utilizzato per non dire scopiazzato da tutti oggi).
E che dire di “Radio sportiva”? Questo incedere funk mi racconta di una canzone decisamente indie-pop con tanto di synth usciti da un disco dei The Giornalisti o del più scopiazzante Calcutta. Anche quel modo di trascinare la voce… insomma: su quali basi si sostiene che non ci sia niente del panorama attuale? La successiva “Una canzone per l’estate” che parte con la più antica ed inflazionata intro “mediosamente da radiolina” per poi aprirsi al “presente”. E questo cuore pulsante di chitarre e batterie che richiamano quel “Lunedì Cinema” di Dalla (con le dovute differenze)… e questa voce che un poco acciacca i contorni e si appoggia totalmente (anche nelle liriche e nel modo di esporle) ad un Brunori Sas in piena pace dei sensi… Ed è con tali impalcature che si dipana il resto dell'ascolto... o quasi.
Visto che il tutto si chiude con “A due che come noi”, a mio modo di percepire il tutto è questo il brano più importante del disco perché per la prima volta si esce davvero dal seminato e si guardano le cose da una prospettiva insolita, inattesa, inutilizzata. Di nuovo: niente di nuovo ma c’è moltissimo di personale. La voce scende nel mix, le distorsioni alle chitarre alzano muri post rock dalle forme classiche (si veda quell’ostinato di chitarra a caratterizzare tutto il corpo sonoro) e la tessitura melodica che fa la voce mi racconta di visioni antiche, di canti popolari di montagna (sensazioni tutte mie, sia chiaro)… un brano che non ha bisogno di urlare nonostante la dinamica sia spinta.
Ecco: qui posso dar ragione a Novamerica quando mi parla di qualcosa che non si sente facilmente dentro la nuova musica italiana. Ma non sul resto… che, per quanto bello, ben equilibrato e “funzionante”, porta in scena i santi cliché dell’indie maniera ormai main stream.
Articolo del
24/09/2024 -
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