L’annuncio della pubblicazione di Psychodonna da parte di Rachele Bastreghi ha suscitato un senso di piacevole sorpresa, un benevolo fulmine a ciel sereno che ha tuonato dopo sei anni dopo il bagliore dell’EP Marie. Era il 2015 e l’anima più ribelle dei Baustelle studiava da solista con un’esperienza musicale dai risvolti interessanti, prima che il terzetto sfornasse un disco oscenamente pop come L’amore e la violenza.
La svolta “popolare” del trio toscano consumatasi nell’arco di due volumi evidentemente deve essere stata la scintilla ideale per far esplodere la vena creativa delle due voci. Quella del frontman dei Baustelle è stata una preziosa opera prima che ha meritatamente ottenuto un plebiscito di consensi, come quello tributatogli lo scorso ottobre su queste pagine. All’incirca sei mesi dopo, il 30 aprile, è toccato all’amica e collega di una vita che con Psychodonna si è messa in proprio, senza però rinunciare a fare musica con quel suo stile unico e una libertà espressiva senza vincoli. Eppure il brano rompighiaccio del disco, Poi mi tiro su, ricalca leggermente il mood della band di Montepulciano, ma è invero una sorta di effimera bugia dettata dall’accoppiata testo-arrangiamenti che, tra l’aria melanconica del pianoforte e un testo dalle venature in chiaroscuro, creano la falsa e triste illusione del pessimismo cosmico spesso associato (impunemente) alla band toscana.
Con Lei si assiste invece a un cambio di atmosfera, ora più onirica e solenne, che si concentra su una figura femminile che pare la perfetta antitesi della donna dei mille difetti cantata in A proposito di Lei. Ma Psychodonna è anche un disco in continuo mutamento dal punto di vista del sound, che può contare sulla presenza di molteplici strumenti di natura elettronica come sintetizzatori, drum machine, ma che rimane comunque devoto al classicismo di fondo del pianoforte e degli archi. Not for me è poi una seducente dichiarazione anticonformista in ottica progressive, in un continuo incitamento alla ribellione sulle note di un sottofondo che rimandano in parte alle colonne sonore) degli horror di Dario Argento (quelle dei Goblin, fieri esponenti italici del genere).
E rimanendo nel territorio cinematografico, Come Harry Stanton è il gentile e sentito omaggio dedicato al celebre caratterista americano Harry Dean Stanton, in cui Rachele Bastreghi ammette di riconoscersi in alcuni dei personaggi interpretati dall’attore. Una dolce dedica quasi sussurrata che rievoca il “Fantasma” di Diorama, salvo poi esplodere con un finale dirompente ed energico. La spiccata attitudine sperimental-danzereccia anni ‘70 e ‘80 dell’artista toscana non è affatto tabù, soprattutto per coloro che l’hanno vista armeggiare con il suo fido portatile in uno dei suoi scatenati DJ set.
Psychodonna è infatti la summa di una pletora di ispirazioni musicali e sonore accumulate in oltre un ventennio di carriera artistica. In tal senso, il singolo Penelope è uno spartiacque e non solo per una mera questione di posizione all’interno della tracklist dell’album, ma poiché segna una decisa virata verso ritmi più energici ed elettronici avvalendosi di quel genere di confusione creativa che la nottambula Rachele Bastreghi si trascina dietro per buona parte di Psychodonna, un personale caos artistico e sottolineato dall’inequivocabile ritornello “lo stratagemma che inganna il cuore, dura ogni notte e il giorno muore, lei crede al sole e io nella confusione”, che trova manforte nel featuring con Silvia Calderoni.
L’aura femminile, genuinamente femminista, che pervade il disco diviene quantomai eloquente in Due ragazze a Roma, una ballad autobiografica in cui viene spalleggiata da Meg e dalle incursioni d'oltralpe dell’attrice francese Chiara Mastroianni. La capitale diviene così una discoteca a cielo aperto dove l’amore che vince su tutto (omnia vincit amor direbbero gli antichi-ma-sempre-attuali latini) sfila su un rosso tappeto sonoro di stampo electro-pop, sui cui tra l’altro l’eclettica musicista dimostra di trovarsi a proprio agio, che non può che ricordare le sperimentazioni di Franco Battiato.
Appunto le reminiscenze musicali del Battiato nazionale, e insieme a lui quelle del maestro Ennio Morricone, trovano terreno fertile in Psychodonna, title track prettamente strumentale che si erige a inno empirico che abbraccia mix di generi diversi (tutti altamente ballabili) e qualche slegata voce fuori dal coro. Ma se c’è un aspetto in cui Rachele Bastreghi riesce a elevarsi fino a raggiungere vette di rarefatta magnificenza, beh, quello è la naturale capacità di riuscire a far sue cover di altri artisti sfoggiando interpretazioni canore che trasudano passionalità e personalità. (Ascoltate la sua versione de Le cose che pensano di Lucio Battisti per trovare l’inconfutabile prova).
A questo giro è toccato a Fatelo con me con cui Anna Oxa si esibì al Festivalbar del ‘78, e la cover racchiusa in Pyschodonna rende gagliardamente giustizia a una delle tante perle scritte dal mai troppo celebrato Ivano Fossati. Resistenze è infine un colpo di coda immaginifico introdotto da alcuni versi di Her Kind della poetessa americana Anne Sexton, che fanno emergere l’indole più introspettiva di una donna che si mette a nudo per accogliere l’amore in tutte le sue sfaccettature. Un orecchio attento non faticherà, anche a primo acchito, a unire i punti di contatto che uniscono i vocalizzi di Resistenze a quelli già ascoltati in Folle Tempesta.
E più che porre il punto esclamativo sul primo album solista, l’ultima traccia del disco si prodiga a chiudere un grande cerchio tracciato proprio con Marie. L’EP pubblicato sei anni or sono era stata eloquente espressione del desiderio della musicista toscana di aprire una propria parentesi artistica, nata dapprima nel 2015, maturata a cavallo dei due atti pop de L'amore e la violenza e ottimamente concretizzatasi oggi con Psychodonna. Perché Rachele Bastreghi non è solo la voce graffiante dei Baustelle, l’instancabile polistrumentista che sul palco canta, suona e balla senza soluzione di continuità, non è solo la cantante, l'attrice, eccetera, eccetera (una pacca sulla spalla per chi coglierà la citazione).
Fuori dalla sfera baustelliana, Rachele Bastreghi è una “psychodonna” in piena regola che spudoratamente racconta in musica l’amore libero e rivoluzionario, e lo fa con un sound energico, ad ampio spettro ed estremamente curato in ogni singola componente. Chiaramente i meriti vanno condivisi con chi gli ha permesso di esprimersi al meglio, da Mario Conte che ha dato il suo prezioso contributo nella produzione del disco, alla cricca di amici-musicisti come Colapesce, Fabio Rondanini, Roberto Dellera e Marco Carusino che ne hanno curato gli arrangiamenti.
E così come Francesco Bianconi con Forever ha dimostrato che c’è vita e musica oltre i Baustelle, anche Rachele Bastreghi e il suo psicodramma musicale Psychodonna confermano che si possono realizzare dei lavori discografici di pregevole fattura perfino viaggiando su binari sonori e tematici diversi da quelli già ampiamente percorsi in precedenza. Insomma, ad avercene psychodonne del genere, ad avercene dischi così.
Articolo del
04/05/2021 -
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