Ho sempre pensato che, prima o poi, dovrei stilare una lista di cose per cui valga la pena vivere, giusto per avere, in punto di morte, qualcosa a cui pensare, che mi faccia tentare di rimanere attaccato alla vita o, mal che vada, me la faccia lasciare serenamente.
Sicuramente è una lista di cui farebbero parte molte cose che, per ragioni anagrafiche, non ho potuto vedere in prima persona, penso al gol di Van Basten nella finale di Euro ’88 o al riff di Mark Knopfler su “Lady Writer”. E penso ai Monty Python. Dei geni assoluti, che sicuramente in quel brutto e grigio tempo che è adesso verrebbero censurati ad ogni piè sospinto. Ah, i vecchi tabù che ritornano…
Parlando dei Monty, qualche giorno fa pensavo a “Il senso della vita”, la scena in cui il grasso Creosote esplode, dopo un pranzo luculliano, per una mentina. Che sarà un po’ la nostra fine (o il nostro nuovo inizio, fate voi): prima o poi, a via di ingozzarci di musica di merda, esploderemo. Musica di merda fatta, sempre per rimanere in tema Monty Python da “artisti” che sono un po’ come i cavalieri di Artù de “I Monty Python e il Sacro Graal”, quelli che cavalcano senza neanche una scopa a fare da finto destriero, con dietro il corteo di sgangherati a far da rumore di zoccoli. Ecco, la situazione non è tanto dissimile. Anzi, è esattamente la medesima: gente improvvisata incapace di fare le cose che dovrebbe saper fare per mestiere (i cavalieri cavalcare, i musicisti quantomeno saper cantare), come improvvisati erano quegli sconnessi cavalieri della Tavola Rotonda.
Però, dal momento che i miei articoli non sono spunti di autocommiserazione, o quantomeno non solo quello, c’è anche il perpetuo discorso che la buona musica esiste, e sta a noi saperla cercare/ consigliare.
La buona musica è viva e lotta insieme a noi. Ci chiama forte e, soprattutto, suona contemporanea.
Come “Contemporaneo” , di nome e di fatto, è il nuovo album di Claudio Sanfilippo.
Adesso io non dovrei dare mai nulla per scontato, dovrei sempre snocciolare la qualsiasi. Ma il fatto che uno come Claudio Sanfilippo non sia riconosciuto all’unanimità come l’enorme cantautore che è, francamente grida vendetta. Per cui non vi presenterò la sua biografia (vi dico solo che Mina ha inciso una sua canzone, “Stile Libero”, che ha collaborato con Finardi e che ha vinto la Targa Tenco come miglior opera prima nel ’96, adesso a voi trarre le debite conclusioni), anche perché credo che questa sua ultima uscita parli per lui.
Detto questo, perché vi dico di ascoltare “Contemporaneo”, soprattutto in un periodo come questo? Intanto perché rientra, a mio umilissimo parere, nella già citata categoria degli album per tempi più lenti che Paolo Talanca ha mirabilmente creato. E’ un album che va gustato goccia a goccia, brano per brano.
A partire dalla title track, una potentissima invettiva in salsa noir blues alla sporcizia del nostro tempo, al neoliberismo sfrenato. “E hanno bruciato anche il vocabolario, l’hanno sostituito col rosario/Del nuovo ordine della moneta confessionale/I testimoni dell’oscurità, dai loro pulpiti di taffetà/Pagati bene per il mestiere di giudicare”.
Ma potrei parlare anche dalla bellezza abbagliante e commovente di “Teneramente dolorosamente”, un concentrato di poesia che ci ricorda quanto siano “Preziose le parole”. E se lo dice uno che le parole le usa così bene, beh… io mi fiderei. Anche perché da chi scrive cose come “sarà il profumo schiuso di un colore”, immagine meravigliosa, c’è solo da imparare.
Così come spettacolari sono le tre opere di traduzione compiute con “Cielo del nord”, “Viandant” e “Oltre la montagna” , traduzioni (anzi, adattamenti) di Nick Drake, di un canto popolare inglese e di Bob Dylan. Chi, come il sottoscritto, adora follemente l’opera di Nick Drake, saprà riconoscere nell’adattamento di Sanfilippo la stessa straziante delicatezza propria dei brani di Drake, frutto di uno studio attento ed appassionato. Altrettanto attenta e commovente è la traduzione in milanese di “Wayfaring Stranger”, qui arrangiata in uno splendido duetto chitarra- mandola. Il pezzo di Dylan è uno dei tanti inni antimilitaristi scritti dal bardo di Duluth, che nella versione di Sanfilippo ha un organo spettacolare, che si sposa perfettamente con l’atmosfera stranamente calma e, per contrappasso, pacificante del pezzo.
“Lo sguardo” è un incastro perfetto di musica e parole, cucite da una delle armonie più belle che mi è capitato di sentire negli ultimi tempi. Un’atmosfera quasi nebbiosa avvolge tutto il pezzo, come un lontano ricordo evanescente. Insomma, una meraviglia.
Altra armonia delicatissima e raffinata è quella di “Le ragazze del lago” , ondivaga e languida come il lago che culla le ragazze.
“Che cos’è la luna” è uno di quei testi che, se dovessi riprendere il progetto iniziale di fare l’insegnante, farei tranquillamente studiare ai miei alunni. E’ una poesia meravigliosa, ne cito un passaggio a conferma: “E io vi guardo mentre guido/Il nostro sogno rabdomante/Infine l’acqua troverà/Così la luna avrà uno specchio/Potrà vedere com’è bella/ In questa luce un po’ arancione/La prima stella spunterà.” Il tutto montato sopra un arpeggio delicatissimo, con una chitarra slide che ricama sopra dei contrappunti dilatatamente onirici.
Questo di Claudio Sanfilippo è un album da ascoltare perché usa le parole, come detto, in modo incredibile, ci dipinge. “Monetine” va in questa direzione: è un insieme di quadri, un testo che riesce a rendere perfettamente visibile e concreta ogni immagine.
A proposito di dipinti di immagini… è la prima volta che un milanese (seppur dalle chiare origini siciliane) riesce a farmi sentire così bene, così nitidamente tutti i profumi della mia terra. Lo fa in “Suruq”, che, dall’arabo, è diventato il nostro “Scirocco”, brano che, come la title track, vede la partecipazione alla voce di Emma, che di Claudio Sanfilippo è la figlia, e che è la vera scoperta dell’album. Anche qua ci sono dei versi dalla bellezza abbagliante, come “In questo labirinto/diamanti e fuggitivi/la luna è sopra il tetto e i sogni sono vivi/per tutto ciò che è vero, e al sole non si vede/l’arte di regalare misteri a chi non crede” .
Gli ultimi tre pezzi ci fanno decollare verso un comune luogo “fisico”, ma con tre diverse nuance stilistiche. Si vola verso il Sud America, quello nel pallone raccontato dalla poesia di Osvaldo Soriano, con “El Pepe” , dedicata a Juan Schiaffino, quello che fece piangere il Brasile ai Mondiali del ’50, brano dalle sonorità mariachi e con uno sghembo slang lombardosudamericano. Poi c’è “Angelina”, brano che farebbe un figurone nella discografia di Paolo Conte, per armonie, parole ed arrangiamenti. E’ immaginifica come le canzoni del grande Maestro astigiano, un verso come “alla fine lasciò dire a un bacio piano, che si amavano” è un capolavoro di poeticità e visionarietà letteraria. In ultimo c’è il ritmo bossanoveggiante di “Vino buono”, ennesimo tocco di classe ed immaginazione poetica: quell’ “aria fresca ed umida di pioggia” del ritornello è perfettamente ricreato dalla sezione ritmica, percussioni e contrabbasso, che letteralmente piove sul pezzo.
Insomma, “Contemporaneo” è un album che è come quei libri che profumano di buono. E’ pieno di odori, di colori, di sensazioni, di poesia, di eleganza e di delicatezza.
E’ un album di cui si avvertiva un gran bisogno, riconcilia con la musica italiana e, soprattutto, convince gli highlander della canzone d’autore ad andare avanti, sia nella ricerca che nella divulgazione: in chi ascolta davvero la musica, prima ancora di amarla, ci sarà sempre posto per album del genere, perché sono pietre preziose, lavori talmente puri che vanno davvero assaporati ad ogni boccone ed in ogni loro sfaccettatura.
Articolo del
24/05/2020 -
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