“Il pane e frittata di mia madre Non si batte Perché non è che bastano due fette di pane e una frittata per fare il pane e frittata che fa mia madre Se al pane e frittata che fa mia madre gli levi mia madre rimane un panino con la frittata Generico Semplice Banale Ordinario Se invece al pane e frittata che fa mia madre gli levi il panino con la frittata rimane Mia madre.”
Questa citazione viene da “Basilicata coast to coast”, film (a mio avviso stupendo ed, a tratti commovente) di quel genio meraviglioso che è Rocco Papaleo. L’ho visto l’altro giorno, il film, e non ho potuto fare a meno di autopunirmi per non averlo visto prima. Soprattutto perché questa perla che è “Il pane e frittata di mia madre” mi ha di fatto tirato fuori una constatazione, anche piuttosto amara. Il mondo musicale, complice anche il momento storico non proprio felice (che non è quello strettamente immanente, ma si trascina da un bel po’ di anni, ndr), è orfano “di madre”.
E’, molto spesso, solo frittata. Generico. Banale. Ordinario. Fatto solo di testi scritti da tredicenni nel pieno delle prime crisi ormonali (so che l’età non è quella, ma a molti autori converrebbe spacciarsi per tali) e di basi improbabili. Manca la madre, che, nella mia metafora è il sentimento, l’anima, anche la cazzimma, in qualche misura, l’interpretazione, il pathos, chiamatelo come più vi piace, insomma.
Ero convinto che, almeno fra le “uscite quarantene”, difficilmente avrei trovato qualche album consono ai miei requisiti. Poi sono arrivati Fabio Cinti ed un altro artista, di cui parlerò nei prossimi giorni e che, al momento, non svelo.
Fabio Cinti, dicevamo. Fabio è uno di quelli bravi sul serio, uno di quelli che la frittata dentro al pane la fa “sponzare” bene, tanto per rimanere in tema. C’è, dentro i suoi album, la stessa passione che molti di noi mettono nello scrivere di quegli stessi album, si capisce che lo fa per necessità, bisogno vitale. Ed è la cosa che fa la differenza. Sono passati quattro anni da un altro grandissimo album, “Forze Elastiche” . Nel mezzo una Targa Tenco come miglior interprete per l’omaggio in punta di piedi al Maestro Battiato, passione comune, di cui Fabio ha studiato, con la gentilezza e la cura necessari quando ci si approccia a certi grandissimi, l’arte musicale, nelle sue mille, caleidoscopiche, sfaccettature.
Adesso torna con un nuovo album di inediti, “Al blu mi muovo” . Ho avuto la fortuna di ascoltarlo in anteprima, e mi ha rapito fin dal primo ascolto. Ha un qualcosa di magico, questo album. E’ delicato, poetico. Starebbe bene nella bella “classifica” dei 15 album per tempi più lenti con cui Paolo Talanca ci ha deliziato in queste settimane sul Fatto Quotidiano.
E’, appunto, un album lento, che non rincorre la frenesia dei nostri tempi, semmai cerca ulteriormente di smorzarla. E lo fa creando delle atmosfere meravigliose, prendendo per mano fin dal primo pezzo l’ascoltatore.
“Fra gli alberi combatto” è il brano più “frenetico” dell’album, ed è supportato da una incessante chitarra acustica che regge la ritmica. In sottofondo l’elettronica, ampiamente e scientemente utilizzata in tutto l’album. “Tra gli alberi combatto la mia guerra e dietro l'ombra ti vengo a cercare, se hai inventato il tuo passato puoi inventare anche il futuro ed evitare così di diventare giovane.” . “Come evitare di diventare giovani” è il sottotitolo dell’album, ed è abbastanza programmatico: evitare di diventare giovani significa mantenersi, in qualche misura, in quella dimensione fatta di continue autoriflessioni, di quei piccoli, ma essenziali, dubbi che dovrebbero assillare ognuno di noi.
“Giorni tutti uguali” riesce nell’impresa titanica di mettere insieme lo scorrere del tempo con le più normali azioni che compiamo ogni giorno, e lo fa con dei versi morbidi e stupendi come “Non è impossibile vedere i giorni tutti uguali fermare l'attimo della felicità capire l'alchimia di un momento irripetibile e vivere più in alto, un po' più in là dove il buio, col diradarsi dei pensieri, diventa luce” , montati alla perfezione su un tappeto di synth ed elettronica e su una voce che gioca con le sovraincisioni delle tracce tanto care a Battiato.
Molto delicata è anche “Da lontano” , guidata dal pianoforte, ma con il solito intervento elettronico che è il fil rouge di tutto l’album. “Sarò l'estate tra le tue stagioni per poterti scaldare e poserò una stella tra i pensieri neri per vederti brillare e sarò il vento che ti scorre nelle vene per farti ballare.” Ecco, per me raccontare l’amore in una canzone si fa in questo modo.
“Che cosa succede” ha una linea di basso molto bella, ed è giocata su un pianoforte che accompagna le strofe. Nel ritornello esplode la chitarra ritmica, che apre il pezzo. Ma il vero capolavoro del pezzo è il bridge quasi sinfonico che “spezza” il brano e lo fa definitivamente decollare verso una dimensione spaziale, quasi anacoretica, complice anche la prova vocale di Cinti, modellata con sovraincisioni ed effetti eco.
“Amore occasionale” è uno dei pezzi più belli dell’album. Denso, pieno, terribilmente umano, delicato e fragile. Dà la perfetta portata dell’enorme lavoro di Fabio Cinti, che è riuscito a coniugare alla perfezione suoni unplugged ed elettronica, con una eleganza senza pari.
Altra bellissima canzone d’amore è “La sventurata rispose” . Anche qua, la prova interpretativa è superbamente intensa. E’ forse il pezzo più classico dell’album, retto da piano e chitarra, con la nota cangiante data dalla sovraincisione delle linee vocali.
“Vieni con me” è il pezzo più minimal dell’album, e contiene uno dei passaggi più significativi per capire il disco, “e l’infanzia svanisce in un tiro di pallone”, che spiega davvero bene il senso di quello che è, in qualche modo, definibile un concept album che racconta delle fragilità e dello scorrere della vita.
Chiude l’album “Il grande balzo in avanti” , brano dalle sonorità più elettroniche, sostenuto da un imperioso giro di synth, con la chitarra acustica a cadenzarlo. Molto bello il ritornello, “Se siamo così adesso è per via di ogni fiore colto e trasformato in galassia durante il nostro grande balzo in avanti.” Ecco, per l’ennesima volta, cosa significa scrivere dei bei testi.
Insomma, se album come il già citato “Forze elastiche” o “Madame Ugo” erano degli ottimi lavori, con “Al blu mi muovo” Fabio Cinti è stato veramente toccato dalla grazia artistica. “Al blu mi muovo” è un distillato di bellezza. E’ un album che parla di noi e lo fa con una delicatezza incredibile, è una presa di coscienza. Una benedizione fatta musica.
Un album lento, da godersi con calma.
Un album che ci salverà da tempi burrascosi.
Articolo del
08/05/2020 -
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