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Jonathan Wilson
Dixie Blur
2020
Bella Union / Pias
di
Giuseppe Celano
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Jonathan Wilson è arrivato a quota 4 del suo ruolino personale con un nuovo lavoro che viaggia su coordinate western, passaggi acustici e toni vellutati.
Incisi al violino (69 Corvette) si sostituiscono alle scariche elettriche presenti nei precedenti lavori. 14 brani sognanti, carichi di pathos ma con un approccio più dimesso (Fun for the Masses), per il primo disco con meno influenze. Sebbene il nostro risulti ancora filologico, attraverso la presenza continua di citazioni colte, il disco scivola via leggero facendo venire la voglia di rimettere subito play. Slide-guitar si spalmano languide su New Home mentre nella successiva So Alive è ancora il violino a farla da padrone, supportato da chitarre acustiche capaci di cesellare intarsi di fine grana su ritmica incalzante. Il testo melanconico e la voce angelica di Wilson, che trasmette serenità, fanno il resto. Siamo sull’altra faccia della musica americana, quella della West Coast. Il gioco regge per la scrittura alt(r)a seguita da arrangiamenti eleganti, a cui si sommano l’ottima esecuzione e la scelta di confrontarsi con il country. Wilson evita un tonfo rumoroso e in Riding the Blinds si supera fondendo il country con l’anima psichedelica che, stavolta, s'intravede solo fra le pieghe dell’armonia. Prima del sigillo affidato a Korean Tea, che a dicembre aveva anticipato il disco, arriva l’ottima Golden Apples, un altro colpo a segno per questo nuovo lavoro di Wilson che dopo i tre anni in tour con Roger Waters si ripresenta in forma smagliante.
Dixie Blur è l’album che definisce meglio i contorni musicali, e l’anima stessa di Jonathan Wilson, sfruttando il suo background e le influenze che lo hanno modellato nel tempo. Ci mette del suo, più che in ogni altra uscita, rischiando sulla propria pelle e andando a segno con una maturità che inizia a intravedersi per grandi linee.
Articolo del
13/03/2020 -
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