“Un disco dei Tool, scritto dai Tool, suonato dai Tool per i fan dei Tool”. È solo una delle sconclusionate, e superficiali, sentenze sputate dai faciloni che si sono presi la libertà e il lusso (pur non potendoselo permettere) di liquidare un disco la cui gestazione, complessa e macchinosa, è durata ben 13 anni. A seguire ci sono stati quelli che l’hanno bollato come qualcosa di già sentito, senza mordente, e altri che li hanno accusati di aver perso l’ispirazione, di essere freddi e distanti se non addirittura assenti.
Bisogna chiarire uno snodo focale: se per qualcuno Fear Inoculum dovesse sembrare un disco inferiore (agli altri) è solo per due motivi: il primo dipende da una percezione distorta della musica, probabilmente a causa di orecchie diseducate, e incapacità d’analisi critica. Il secondo punto è legato alla presenza di un brano fuori dal tempo e dallo spazio, capace d’adombrare anche i fasti di Aenema e Lateralus. Pneuma sfoggia qualcosa di mai sentito finora, neanche nell’universo tooliano figuriamoci al di fuori di esso. Un incantesimo in note capace di sospendere lo scorrere dei granelli di sabbia, attraverso la strettoia al centro della clessidra, perché forte di un songwriting ricco d’aperture e stacchi ritmici, sublimato da una melodia spalmata nella transition funky-dance e con un Maynard pulsante nel canto intrappolato fra le spirali della musica.
Un nuovo Big Bang insomma. Sarà solo dopo averla consumata, e incastonata in una teca inviolabile, che potrete iniziare a comprendere e apprezzare appieno il resto del lavoro introdotto dal tintinnio della titletrack, irrobustito dal drumming futuristico di Carey che stavolta ha riordinato l’impostazione del suo drumkit innalzando notevolmente anche la difficoltà d’esecuzione. Tutto l’album è costellato di riferimenti (non solo) al (proprio) passato, riveduti e aggiornati per reggere bene dopo un decennio.
Per comprendere bene l’effetto mesmerico dei californiani è interessante cercare in rete le differenti first reaction di vecchi e nuovi fan (Qui) Stupore, mascelle serrate, lacrime, grugniti d’approvazione e totale arresa nei confronti della band più importante e visionaria degli ultimi 25 anni. Ce n’è per tutti i gusti (quelli complicati ovviamente) appagati da monster take come Invincible, gloriosa dichiarazione d'intenti bellici, su ostinati impossibili e incisi elettronici di matrice eighites (Kraftwerk), che con “Descending” ha in comune il canto armonioso, come scelta commerciale lucida e decisa, e melodie danzanti sulle atmosfere di “Wings For Marie Part I”.
Per quelli meno allenati alle pièce de résistances, i Tool hanno pensato di regalare “Culling Voices” che fa da hook(er with a penis) attraverso l’impostazione lineare, una classica song-like format per chart mainstream, più commerciale nella struttura ma con liriche imperniate sulla psicopatia. Comunemente mortale, il brano si comporta in modo surrettizio nascondendo, ma non troppo poi, la sua vera funzione che è quella d’ampliare il proprio pubblico. Dopo 5 brani e 50 minuti di trame complesse, e imprendibili poliritmie, pensare che i Tool non siano stati capaci di creare qualcosa di più strutturato sarebbe davvero una spiegazione che non sta in piedi.
Ma prima di tirare i remi in barca, i nostri pensano bene di rilasciare una prova di forza, dall’alto amperaggio, rintracciabile nell’ultimo segmento dell’album intitolato 7empest, discepolo diretto di Third Eye. Keenan è aggressivo nei quindici minuti di metallo traslucido che flirta con “Frame By Frame” (King Crimson) richiamando alla mente “Undertow” attraverso il rifferama inziale. La sezione psichedelica centrale, mutuata da “Third (Eye) Stone From The Sun” (J. Hendrix), funge da manuale d’aggiornamento sull’utilizzo delle chitarre (nel) metal per i prossimi dieci anni.
Un capitolo a parte andrebbe scritto per il lavoro di fino spessore a opera di Justin Chancellor, eccelso compositore (perché solo bassista sarebbe troppo riduttivo) capace di linee ritmiche ipnotiche e incalzanti la cui origine è risiede nel background per sfociare poi in crescendo esponenziali, dardeggianti sul finale.
I Tool sono in possesso di una macchina del tempo, sapientemente modificata per annullarlo e farli viaggiare non indietro né in avanti ma in un’altra dimensione, la loro, attraverso una frattura evolutiva a cui non eravamo preparati. Trovandosi in mezzo a un’imboscata tesa dal tempo e da loro stessi, da sempre inclementi e spietatamente critici verso il proprio materiale, i quattro hanno risposto con un album potente e complesso che non lascia spazio a dubbi.
Maynard e soci si fanno autori di grandi visioni narrative e di trame ben piantate nella distesa neuronale, di strutture musicali robuste ma allo stesso tempo abbastanza elastiche da essere allungate (“7empest”), resistendo alle sollecitazioni del tempo e dello spazio, attraverso la progressione tribale, gli innesti metal e l’elettronica incastonata fra le pieghe del songwriting.
Fear Inoculum non è solo un disco ma una extra wide full experience fatta di arabeschi uditivi, visivi e cinestesici. Un viaggio introspettivo che potremmo definire spiritual awakening (Once I was blind but now I can see). La produzione, impeccabile e asciutta, arretra(ta) un attimo prima di diventare invadente fonde intro e outro per inseguire e perfezionare i dettagli delle transition addi(ctive)zionali, fulcro e cuore pulsante di questo nuovo lavoro.
In tredici anni un artista cambia, in un senso o nell’altro, muta negli intenti e nel pensiero al pari della musica attorno cui gravita. La probabilità di non riuscire a sostenere una continuità musicale, dopo una decade abbondante, erano davvero altissime. Altrettanto alta era la possibilità di un calo d’attenzione, e interesse, da parte del pubblico che muta nei gusti lasciandosi ammaliare da altri generi. Quindi, per questo tanto agognato ritorno, le cose sono state fatte in grande (stile) anche nel tentativo di rifarsi anche economicamente (sì, e allora?) di tutto il tempo perso fra side project e mille beghe, soprattutto legali.
Per colmare il gap accumulato, al di la della prima versione deluxe box (comprendente uno schermo 4 pollici, due casse da 2 watt, il cd, un cavo usb e un libretto più un codice per scaricare l’album), i Tool hanno pensato a una seconda versione (Book Extended), nei negozi dal prossimo 13 dicembre, che promette altre chicche includendo: “5 carte lenticolari in 3D con grafiche esclusive, un libretto di 56 pagine arricchito con disegni mai visti prima, un download della rivoluzionaria esperienza visiva immersiva (video), Recusant Ad Infinitum, e un CD”. Come se non bastasse, è in arrivo un super box numerato e firmato da Alex Grey, responsabile delle cover art, per un totale di 111 copie in tutto.
Ovviamente non è finita perché, con molta probabilità anche la futura versione basica (si fa per dire) in cd e vinile conterrà qualche chicca per collezionisti (e non solo).
Come un moderno Chthulu, nell'attesa che una congiunzione astrale favorevole ne consenta il risveglio, il mostruoso materiale registrato in questi anni è stato destato dal sonno, simile alla morte, per rilasciare una legione d'inoculanti. Non solo musica ma una performance capace d’innescare il processo d’individuazione attraverso il quale l’Io e il Sé s’avvicinano, Conscio e Inconscio s’integrano imparando a completarsi a vicenda. L’essere umano cerca e trova la propria strada per la realizzazione personale, divenendo realmente individuo, dotato di una propria peculiare personalità. Lungo questo percorso di conoscenza l’uomo incontra la propria Ombra che racchiude quegli aspetti che non si desidera conoscere troppo da vicino mentre si è più propensi ad attribuirli agli altri, proiettandoli al di fuori di noi stessi.
I Tool sono diversi e lontani anni luce da tutte le band in circolazione, l’ascolto attento e meticoloso della loro musica significa sintonizzarsi sulla frequenza del proprio Io per intraprendere un’indagine attraverso l’Ego, l’Ombra, l‘A(e)nima e l’Animus, l’Inconscio e tutte le sue trappole. Non si è mai davvero pronti per affrontare un loro nuovo lavoro, la mente scivola in acquaplaning sull’enorme distesa d’acqua dalla potente risacca capace di trascinarvi nel loro mondo.
Se non vi fosse ancora chiaro, Fear Inoculum è uno shock nel sistema, un capolavoro del futuro che supera lo lo spazio e il tempo
Articolo del
04/12/2019 -
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