Un gran bel disco questo “Union”, nono album dei Son Volt di Jay Ferrar, l’altra metà degli Uncle Tupelo. Nonostante i numerosi avvicendamenti, la band è rimasta fedele nel tempo alle sue radici country-folk, ma non possiamo fare a meno di notare la presenza di una forte venatura blues nel nuovo album. Canzoni come “Broadsides”, “Truth To Power Blues”, “Rebel Girl” e l’impeccabile “Union” testimoniano questa virata, perfettamente riuscita, grazie ad una musicalità intensa e vibrante, che conferisce al disco un sapore diverso.
Accanto a Jay Farrar in sala di incisione, troviamo una line-up tutta nuova, composta da musicisti molto validi e affiatati che rispondono ai nomi di Mark Spencer, al pianoforte e alle tastiere, Andrew Du Plantis, al basso elettrico, Chris Frame, alla chitarra e Mark Patterson, alla batteria.
Posso garantirvi che “Union” garantisce esiti molto positivi in quanti si prestano all’ascolto: melodie molto raffinate e sognanti, roba assai rara in questo periodo, canzoni mai banali, come la bellissima “The Devil May Care”, una ballata country rock che risponde ai canoni della tradizione, ma va anche oltre, in fatto di espressività e di stile. Non mancano brani di denuncia contro il momento attuale della politica americana: ci riferiamo ad una straordinaria “The 99”, ma anche a “While Rome Burns” e “Reality Winner”.
Il disco è stato registrato in parte al Mother Jones Museum di Mount Olive, Illinois, in omaggio all’attivista e sindacalista Mary Harris “Mother Jones”, e in parte al Woody Guthrie Center di Tulsa, Oklahoma, in ricordo del primo folk-singer di protesta, a cui viene dedicata la bellissima “The Symbol”, il brano che chiude un album molto ben fatto e significativo, centrato sulla classe operaia americana
Articolo del
05/11/2019 -
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