Da qualche tempo sono convinto che la costante reiterazione della frase "la musica italiana fa schifo", ripetuta quasi come un mantra, come una specie di barriera che deve allontanare un qualsiasi beneficio del dubbio del contrario, sia più un augurio che un dato di fatto.
La cosa grave è che, nel nostro impareggiabile tafazzismo (quella capacità perversamente sadica di volerci prendere a bottigliate i coglioni in qualsiasi frangente), non siamo, spesso, più in grado di ascoltare nulla. Tutt'al più sentiamo, che è ben diverso.
Sentiamo poco e male, forse solo una volta, sentiamo senza approfondire. Ecco, il cocktail fra l'antinazionalismo musicale ed una superficialità all'ascolto fa sì che ci si perdano anche le cose interessanti.
Ben inteso, è assolutamente vero che, musicalmente parlando, si è anni luce indietro rispetto ad altre realtà. Ma questo non significa che comunque non possa esserci molta qualità, spesso ben più di quella millantata dall'idolatria di certe fanbase di artisti dalle dubbie capacità.
Solo che la qualità va cercata, fortunatamente non è servita su un piatto d'argento. Non parla se non ha davvero qualcosa da dire.
Anzi, è in grado di stare in silenzio per tantissimo tempo. Nel nostro caso, circa tre anni e mezzo. Tanto ci è voluto prima di ascoltare il nuovo (capo) lavoro di Niccolò Fabi.
"Tradizione e Tradimento" è uno scrigno pieno di tesori. Nove canzoni, nove testi affrescati sulla sua solita delicatezza musicale.
La crescita di Fabi è disarmante (ovviamente in senso buono), il suo lirismo è giunto ad un livello talmente alto da essere indipendente dalle strutture musicali. Da "Ecco", anno 2010, tutto quello che scrive è pura e semplice poesia. Punto. Ed anche in questo caso non è da meno. Ha un controllo totale delle parole, le cesella, le smussa, decide quando renderle talmente fragili da portare alle lacrime ("Nel blu") e quando renderle affilate come rasoi ("Io sono l'altro" o "I giorni dello smarrimento").
La grandezza di Fabi è tutta lì: è empatico, talmente tanto che sembra conosca personalmente tutti quelli che lo ascoltano. E riesce a raccontare la vita in tutte le sue sfaccettature, quelle più intime e quelle orgogliosamente e resistentemente civili. E questa è la "tradizione" del disco, la bellezza allucinante dei testi.
Il "tradimento" si consuma, invece, a livello musicale. Perché, a differenza di "Una somma di piccole cose", disco marcatamente da countryman, quasi solo chitarra e voce, qui Fabi gioca moltissimo con sonorità più elettroniche, supportati dai volteggianti arpeggi di chitarra che sono ormai un marchio di fabbrica dell'artista romano. Degnissima di nota la chitarra elettrica distorta in "I giorni dello smarrimento". Notevole anche l'uso del launchpad nell'intro di "Prima della tempesta".
"A prescindere da me" è il vero capolavoro musicale dell'album: un pezzo che unisce ad una batteria digitale un'atmosfera fossatiana, da "La Volpe" o "La pianta del thè". Grande, grandissimo lavoro. Fabi si conferma cantautore colto e, soprattutto, libero. Perché "Tradizione e Tradimento" è un album lontano dalla volontà di piacere a tutti i costi. È un album che va ascoltato a fondo e poi compreso. E solo allora se ne capirà la catartica grandezza.
Il ritorno di Fabi (insieme a quelli probabili di Dente e Dario Brunori ed a quelli praticamente certi di Luca Madonia e Samuele Bersani, a proposito di qualità) è una manna dal cielo, una scossa che ci voleva. E di questo ritorno dobbiamo solo essergli grati.
Voto all'album: 9.½. Mi spingo in una considerazione abbastanza ardita: è anche meglio di "Una somma di piccole cose", se il prossimo anno non dovesse vincere la Targa Tenco una guerra civile la capirei anche.
Pezzo preferito: "Tradizione e Tradimento". Nel corso delle varie recensioni tendo sempre a lasciar da parte l'empatia personale. Ecco, nello scegliere il pezzo preferito mi prendo il lusso di non farlo. Questo era un pezzo che mi serviva, ne avevo bisogno a livello personale. Quindi, beh… grazie mille, Nic!
Articolo del
13/10/2019 -
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