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Shannon Lay
August
2019
Sub Pop
di
Andrea Salacone
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L’infelice definizione transcendent folk-pop artist, fornita dal sito della Sub Pop per inquadrare l’esordiente Shannon Lay in un filone musicale, potrebbe essere sufficiente per i più impietosi a scartare a priori l’ipotesi di un ascolto dell’album August.
Siccome non si può mancare di cortesia nei confronti di tale (almeno in passato) gloriosa etichetta discografica, dedichiamo volentieri un po’ di tempo alle composizioni della fanciulla, anche se solo qualche settimana fa ci siamo ritrovati a stroncare un’altra artista della stessa scuderia (Julia Shapiro).
L’impressione destata da August è simile a quella suscitata da Perfect Version della Shapiro: un’opera di cantautorato tutto sommato inutile; un disco piuttosto malinconico, in cui si alternano brani costruiti su un fingerpicking elementare di mortale monotonia ad altri leggermente più briosi, in cui la formula voce-chitarra viene ravvivata da qualche altro strumento (graziosi, ad esempio, gli sbalzi d’umore di “Nowhere”).
La quasi filastrocca folk “Shuffling Stoned” è forse uno dei rari pezzi in cui si mette in luce un briciolo di personalità, ma anche volendo salvare la moderata vivacità di “August”, rimane quasi una decina di canzoni anonime, con l’aggravante dello scampanellio chitarristico privo di variazioni di “Wild”, una vera e propria nenia.
Alla tradizione folk e/o a quella country possono essere apportate ancora innovazioni, ma ciò non accadrà di sicuro grazie al contributo di artisti come Shannon Lay, che sembrano limitarsi a proporre una minestra riscaldata. Ovviamente non è necessario intraprendere percorsi insoliti, e introdurre per forza elementi nuovi in un genere musicale: si può ancora cantare col solo accompagnamento di una chitarra acustica o elettrica, e incidere dischi, ma a quel punto ci vogliono composizioni che non facciano rimpiangere fortemente gli autori e le autrici che tali sonorità e tali atmosfere le hanno create e/o trasformate. I primi due nomi che ci vengono in mente per analogia con l’aria che si respira in August, la Kristin Hersh di Hips and Makers (1994), e Laura Veirs col suo The Lookout (2018), hanno attinto alla tradizione e dato, ognuna a modo suo, un apporto personale. Alla Lay possiamo solo augurare di ottenere risultati più gratificanti, perché questo debutto è davvero privo di attrattiva e di interesse
Articolo del
28/08/2019 -
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