Tornare in Cavea all’Auditorium Parco Della Musica di Roma è e sarà sempre un’emozione unica ed al contempo differente ad ogni occasione.
Ci si ritrova immersi a 360 gradi all’interno di un luogo magico, un emiciclo dove la musica riecheggia libera, sin dalla sua nascita sul palco, per poi veleggiare sinuosa sino alle enormi volte delle sale che sovrastano e circondano i due livelli su cui è disposto il pubblico. E, poi, tornare a casa. Il festival di “Una Striscia di Terra Feconda” non poteva desiderare alcova migliore per portare sul palco le due eccezionali formazioni in programma nella serata dell’11 settembre 2021: ONJ PAOLO DAMIANI ’20 ans après’ e PAF TRIO REUNION.
E’ l’Orchestra nazionale di jazz francese, soprannominata ONJ, (diretta da Paolo Damiani nell’edizione 2000-2002), a salire sul palco occupandone in larga parte la superficie. Da vent’anni questa istituzione francese è il trait d’union tra la bellezza classica dei suoni mediterranei ed un approccio libero, jazz, alla composizione. Mossa da un cast di musicisti d’altissima qualità (Paolo Damiani - contrabbasso, direzione, Médéric Collignon, Alain Vankenhove - tromba, pocket cornet, flicorno, Didier Havet - sousaphone, Filippo Vignato – trombone, François Jeanneau, Javier Girotto, Rosario Giuliani - sassofoni, flauti, Anais Drago – violino, Olivier Benoit – chitarra, Christophe Marguet – batteria), l’esecuzione corale vede ogni membro ritagliarsi il proprio spazio lungo l’alternanza ritmica e melodica dei brani in scaletta.
Spiazzante e surrealista la performance “teatrale” che accompagna un pezzo in particolare, ovvero “Dio è vaccinato, effetti secondari”, in cui Médéric Colligon si trasforma nella voce impazzita del subconscio popolare d’epoca pandemica, con vocalizzi, suoni strozzati, parole monche a formare il cordone sfilacciato che unisce il pentagramma costellato di affascinanti risvolti melodici. Più in generale è la coesione e la transizione fluida tra i tanti strumenti a rendere l’intera esibizione costantemente bilanciata ed eccitante nel suo ritmo. Il cambio palco, nonostante la mole di strumentazione ad occuparlo, è estremamente rapido.
Quando a salire in scena sono Paolo Fresu (tromba, flicorno, eletronica), Antonello Salis (piano, fisarmonica), Furio Di Castri (contrabbasso), nomi che l’appassionato conosce di certo stima, una nuova ovazione d’entusiasmo coinvolge gli spettatori in Cavea. Se singolarmente anche qui possiamo parlare di eccellenze assolute del jazz nostrano, riuniti sotto la sigla del Paf Trio la trasformazione in leggenda dei tre musicisti è immediata. Le pennellate mediterranee che delineano i contorni del suono, insaporite da una spolverata di elettronica di Fresu e dall’incedere catartico del basso suonato da Di Castri, incontrano l’anticonformismo e l’esuberanza di Salis intento a muoversi di sovente tra piano e fisarmonica in un connubio spettacolare e coinvolgente.
A metà circa si scorge una piccola fiammella bucare l’oscurità subito al di là delle luci di scena: è Salis, intento ad accendersi una sigaretta per poi tornare lentamente al piano, continuando a suonare sino alla silenziosa e naturale dipartita di quella minuscola luce. Piccoli sipari che afferrano l’attenzione e, sostenuti da un’interplay da manuale tra i tre, conducono l’ascoltatore lungo lo scorrere di una performance stellare che va a concludersi con il pubblico in piedi ed una salva di applausi a non finire.
Articolo del
14/09/2021 -
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