Ieri (che per il me scrivente equivale al 18 agosto) era il compleanno di Daniele Silvestri. Nel fargli gli auguri ho ricordato un aneddoto che ci riguardava. Vado breve: al Tenco dello scorso anno ci incontrammo a pomeriggio nel retropalco, io ovviamente chiesi l'intervista e lui mi disse che l'avremmo fatta a fine serata e di andarlo a trovare nuovamente dietro le quinte. Confesso che andai inizialmente solo per scrupolo, non pensavo di trovarlo.
Confesso anche che cannai di brutto: Daniele era lì e mi aspettava. Solo il giorno dopo, sul treno di ritorno, mi sono effettivamente reso conto di quanto fosse successo. Ripeto, ancora più sinteticamente, per i meno attenti: Daniele Silvestri, allora neo vincitore della Targa Tenco come miglior canzone, aspetta me, il Signor Stocazzo con appena quattro mesi di esperienza alle spalle, per una intervista che mi aveva promesso nel pomeriggio, solo perché io ero uno di quelli accreditati. Si chiama professionalitá. E, prima ancora, si chiama rispetto. Lo stesso rispetto che mettiamo noi nel rispondere alle mail o ai vari messaggi che ci propongono di ascoltare questo o quel disco. Ma d'altro canto è anche una cosa abbastanza ovvia: è il nostro lavoro!
Insomma, fa piacere quando si ritrova negli altri la stessa professionalità. Soprattutto quando "gli altri" sono organizzatori di festival o eventi. Finora sono stato abbastanza fortunato in questo, ho sempre trovato persone disponibilissime, fra uffici stampa ed organizzazioni varie per le richieste di accredito. Anche lì, concedere l'accredito ad un critico musicale significa, in un buon 80% dei casi, legittimarlo, dal momento che spesso (ed è il mio caso) non siamo pagati per scrivere. Quindi ricevere accrediti ed essere parte dei contatti dei vari uffici stampa sono, probabilmente, gli unici riconoscimenti che ci legittimano come critici.
Qui il punto non è l'accredito o un biglietto che, vivadio, possiamo permetterci praticamente tutti. Si chiede, appunto, solo un po' di professionalità nel rispondere alle mail che arrivano, tutto lì. Io non lo so perché i ragazzi del Festival del Sud Est Indipendente non abbiano risposto alla mia mail nonostante avessero anche visualizzato un messaggio sul direct di Instagram che, essenzialmente, diceva che la richiesta di accredito era stata mandata sulla mail da loro fornitami. Sono garantista ad oltranza, voglio pensare che abbiano avuto dei problemi di qualche tipo e non abbiano potuto rispondere. Qualora, invece, credessero che stessi tentando di prenderli per il culo e di scroccare dei biglietti gratis fingendomi un critico musicale, beh… la risposta è già qui. E forse è quasi peggio.
Ad ogni modo…
Il "concerto della discordia" era quello di Giovanni Truppi al Castello Volante di Corigliano d'Otranto. Capite bene che è decisamente il caso di passare a parlare di musica, perché ne vale la pena.
Per far capire chi sia Giovanni Truppi basterebbe andarsi a vedere su Twitter il fotodiario delle operazioni di modifica del suo piano Kimball, operazione per la quale bisogna avere in dote più di un barlume di sana follia. E la cosa fantastica è che questa genialità oscillante la riporta tutta dentro le sue canzoni, piene di poesia e di elegante delicatezza.
Poco più di un'ora di concerto, con una scaletta che è un saggio della sua produzione: vengono chiamati in causa tutti i suoi lavori, da "C'è un me dentro di me" fino a "5". Tutto rigorosamente eseguito piano e voce.
Da brividi "Conoscersi in una situazione di difficoltà", probabilmente una delle più belle canzoni d'amore del cantautorato anni '10.
Intense le versioni di "Procreare" e "Scomparire", mentre è perfetta la resa di "I miei primi sei mesi da rockstar", pezzo che, onestamente, facevo difficoltà ad immaginare piano e voce.
Ma la cosa più bella del concerto, una definitiva conferma- semmai ce ne fosse bisogno- della bravura abbagliante di Giovanni Truppi è una "Nessuno" incredibile, piano, voce e clapping: livello di difficoltà abbastanza importante ma resa perfetta.
Come se non bastasse tutto questo, la voce è perfetta ed impeccabile, ogni tanto a là Bennato nel modo di cantare e, soprattutto, negli spoken di "Il mondo è come te lo metti in testa" e "Stai andando bene Giovanni". Molto teatrale, nonostante la staticità della postazione, lo stare sul palco: il rapporto col pianoforte è quasi carnale, accompagnato da una tensione artistica che è essa stessa una forma di comunicazione, in aggiunta a quella cantata.
L'unica pecca (che in realtà è dettata dal gusto personale) è forse il poco rapporto col pubblico in sede di spettacolo. Piccola mancanza che in realtà viene colmata dietro le quinte, dove non è assolutamente stato parco di tempo passato con i fan, in verità. Però un pizzico di interazione in più, magari due parole spese sulle canzoni, avrebbe reso il tutto decisamente perfetto.
Insomma, lo avevo scritto quando avevo parlato di "5" e non posso fare a meno di ribadirlo: Giovanni Truppi è una boccata d'aria pulita in un generale clima di asfissiante banalità. Sentirlo piano e voce è una esperienza di rassicurante e necessaria bellezza, la dose di poesia che ognuno di noi dovrebbe augurare all'altro.
Articolo del
20/08/2020 -
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