Questo pezzo in una dimensione parallela non sarebbe nemmeno esistito.
Avrei chiuso il mio anno professionale con un ultimo articolo, del quale non anticipo nulla, ché fra qualche giorno leggerete anche quello, ma le circostanze, il fato, la greca τυκη (tike), insomma, quello che volete, hanno deciso di mettersi prepotentemente in mezzo: durante il mio soggiorno sentimentale nel Salento, mi giunge notizia che quel grande poeta che risponde al nome di Alessio Lega suona, accompagnato da Guido Baldoni, a Lecce, al Fondo Verri, uno spazio tanto piccolo quanto accogliente ed anarchico, per la sua enorme fame di cultura.
Insomma, al diavolo la vacanza oziante, c'è un compagno da andare a vedere. Ed eccomi qua, finalmente a parlare di una delle mie cose preferite: l'anarchi… ehm, le canzoni di un tizio genovese, tale Fabrizio de André. Perché è quello che il duo Lega- Baldoni viene a suonare. Il concerto dà definitiva vita all'album che il duo ha pubblicato a marzo, ed è un percorso tematico attraverso le canzoni di Faber, riarrangiate esclusivamente con la sola fisarmonica ad accompagnare la voce. Dicevamo dei percorsi tematici. Lo spettacolo, così come il disco, segue un preciso filo logico, raggruppando i vari pezzi in microtemi. Si raccontano le principesse, i viaggiatori, i banditi, il divino, i ribelli. In una parola, l'uomo. Con le sue storie, le sue contraddizioni, la sua umanità.
Dal vivo viene fuori uno spettacolo in cui Alessio Lega racconta, a tratti con i toni caustici dello stand- up comedian, a tratti in modo quasi divulgatorio, del perché, politicamente, sia necessario riprendere i testi, libertari ed eversivi, del grande poeta genovese. E di come e quanto Salvini non ne abbia effettivamente capito un cazzo. La sua voce ruvida si sposa perfettamente con i volteggi fisarmonicistici di Baldoni. E, se di primo acchito, viene difficile pensare a "Coda di lupo" senza la sua iconica schitarrata, beh… ascoltate questo album e cambierete idea. Notevole l'interpretazione, non solo vocale, di Alessio Lega: mima, interpreta i pezzi con una gestualità enorme, e dimostra di tenere il palco davvero benissimo.
Se il cantato è ottimo, lo stesso vale per l'accompagnamento, praticamente perfetto. Soprattutto, chicca meravigliosa, l'intro a "Giugno '73" fatto "a la" Djivas, con la fisarmonica che riprende la linea di basso del tour con la PFM. Altre chicche sono una versione in leccese di "Nell'acqua della chiara fontana", poi "Andrea" e "Creüza de mä" come pezzo finale, tre off- topic dal disco, tutte fatte con chitarra e fisarmonica. Alessio si accompagna alla chitarra, stavolta senza fisarmonica, su "Le passanti", e piazza la zampata personale, l'unico richiamo al suo repertorio, in coda a "Khorakhane", cantanto la sua "Porrajmos", dall'argomento abbastanza analogo.
L'importanza di Alessio Lega, anzi, dell'Alessio Lega traduttore/ interprete, sta nel riuscire a "ridare una nuova carica eversiva" a qualcosa che la stava per perdere, nel tornare a ricordarci quanto i testi di De André (così come di Brassens o Okudzava) siano politici, decisi ed importanti. Civilmente importanti.
Ed il fatto di portarlo in scena scevrandolo dei grandi arrangiamenti pieffeemmeggianti (che, quando sono fatti bene, vengono un po' peggio degli originali, ndr), come è (pessimo) costume negli ultimi tempi, non ha altro scopo se non, appunto, quello di voler rimettere al centro le parole del poeta, restituendogli quella importanza civile (e letteraria) che spesso gli viene tolta. E, come De André, anche Alessio Lega è uno di quegli artisti che servono maledettamente, che in tempi bui possono essere dei fari. Dei poeti. Poeti visionari, poeti cantastorie.
Articolo del
24/12/2019 -
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