Lo Sponz Fest è sinonimo di comunità, di unione. Ha rappresentato sin dai suoi esordi, e per chi scrive, un luogo di collettività a 360°. Una comfort zone nella quale la riscoperta delle radici, di una visione antropologica atavica che volge lo sguardo all'uomo moderno, alla sua psicologia etnografica, si mescola all'anima di un futuro che ha voglia di splendere e di un presente che non ha intenzione di scomparire, valorizzando il territorio. Un luogo in cui individuo e società si fondono, annullando qualunque confine e barriera, attraverso la potente forza dell'arte. Lo Sponz Fest infatti non è solo musica, ma è molto di più, nei contenuti e nelle intenzioni.
È una processione rituale che da sette anni riempie le strade di Calitri. È una lamentazione, un canto di dolore lontano che vuole cogliere l'oggi come nella rappresentazione della Trenodia di Mariangela e di Vinicio Capossela.
E il percorso di questa nenia funebre nella serata conclusiva dello Sponz va dal centro di Calitri, passando per il Camposanto, fino ad arrivare al Vallone Cupo, scenario di visioni multiformi in cui il suono si fa espiazione e la musica nasce diffondendosi come atto purificatorio e linfa vitale potentissima.
Col suo “Appening unico” per scongiurare una “peste” tanto ideologica quanto rituale, nell'anno dell'uscita del suo disco “Ballate per uomini e bestie”, Vinicio Capossela porta sul palco dello Sponz Fest una cerimonia cosmopolita.
Ci sono le allucinazioni cavernose di Atene e Salonicco, salmodiate in Rebetiko da Manolis Pappos e Dimitri Mistakidis. C'è la splendida e polverosa visione di una frontiera americana, che dalle balle di fieno del Texas giunge al Vallone Cupo attraverso la forza evocativa e poetica della voce di Micah P. Hinson e del suo songwriting tagliente, riuscendo sempre a raggiungere le corde più profonde dell'Io. Ci sono le musiche della Cupa; le tradizioni rancheras e mariachi con Flaco Maldonado, la tromba di Sergio Palencia e Mariachi Tres Rosas; la Banda d’ottoni Bassa Banda Processionale guidata da due solisti d'eccezione come Daniele Sepe e Roy Paci. Ci sono le pennellate inconfondibili di chitarra di Alessandro "Asso" Stefana e i tocchi di batteria di Mirco Mariani. C'è il Vinicio dell'ultimo disco, ma anche quello delle “Canzoni a Manovella”. C'è la malinconia di “Ultimo Amore”; l'esistenza che muore con “Marcia Del Camposanto” per poi risorgere con “L'Uomo Vivo (Inno alla gioia)”, tra le “contorsioni” di tromba di Roy Paci. C'è infine la tarantella tribale e ossessiva de “Il ballo di San Vito”.
Nell'estasi del suono che si dipana dalla terra, oltre la terra stessa, l' atto unico di Capossela dura sei ore: una danza cerimoniale bellissima che guarda l'alba sorgere sul Vallone Cupo e che sembra amplificare ogni sensazione fino al raggiungimento di una ipotetica eternità di là da venire.
«Le tre colline di Calitri sono la mia terra promessa. Non so se ci sarà un domani, ma è stata la cosa più bella che abbiamo fatto».
Dice sul finale Vinicio Capossela...e noi speriamo che questo spettacolo di vita riesca a vedere una nuova alba, magari differente e come un canto funebre viva nella redenzione, trasfigurando la fine nella rinascita, nell'evoluzione, nella migrazione verso una nuova terra promessa.
Articolo del
28/08/2019 -
©2002 - 2024 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|