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I Hate My Village
Live @ Roma, Monk Club, 2 febbraio 2019
di
Silvia Cinti
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Esiste nell’universo musicale italiano attuale un progetto tanto originale quanto promettente come I Hate My Village un supergruppo formato da Fabio Rondanini (Calibro 35, Afterhours), Adriano Viterbini (Bud Spencer Blues Explosion) e Alberto Ferrari (Verdena)? Siamo andati a scoprirlo nella loro prima data (sold out) al Monk Club di Roma.
Il primo omonimo album di questa nuova band, uscito il 18 gennaio scorso per la Tempesta International, è stata una sfida a tutti gli effetti supportata dal produttore e collega Marco Fasolo (Jennifer Gentle). Tuttavia, se si considerano i riscontri positivi ricevuti dalla critica e il dedito affetto del pubblico, questo nuovo progetto made in italy è inattaccabile.
In questa prima data del tour, la performance degli I Hate My Village seppur breve – lo show ha sfiorato a malapena l’ora e mezza – è stata strepitosa. Ogni musicista era protagonista della scena: Fabio Rondanini (batteria), Adriano Viterbini (chitarra), Alberto Ferrari (voce e chitarra) e Marco Fasolo (basso) erano sereni mentre si accingevano ad entrare nel vivo di un viaggio in un mondo senza frontiere. Per quanto riguarda tutta l’architettura del suono l’arduo compito è stato affidato a Giulio Favero (One Dimensional Man, Teatro degli Orrori) un’altra personalità nota del panorama musicale italiano.
Il gruppo durante il concerto ha suonato l’interno album ad eccezione del pezzo Location 8. Ad attirare l’attenzione del pubblico, aldilà di alcuni intermezzi strumentali sospesi in una nube di fumo a tratti invadente, c’è stata una cover d’eccezione: Don’t Stop ‘Til You Get Enough firmata dal Re del Pop Michael Jackson.
Emergono alcune canzoni che, anche proposte nella dimensione live, dimostrano una resa pazzesca: ad esempio Presentiment, pezzo scandito da un groove totale e un ritmo ipnotico, è uno di quei passaggi sonori che, nonostante sia privo di voce, rimane impresso. Durante il brano Acquaragia si è potuto osservare un incontro musicale perfetto in cui è emersa la passione del duo Viterbini-Rondanini verso le sonorità della musica africana. Il live degli I Hate my village è stata un’esplosione di suoni, una scarica di pura energia che non ha deluso nemmeno per un istante le aspettative: Fame è stata una parentesi bellissima in cui l’atmosfera musicale è cambiata verso territori più evocativi e malinconici resi magici dalla vocalità di Alberto Ferrari. Infine Tony Hawk of Ghana, il primissimo singolo lanciato a dicembre dal trio, ha potuto confermare lo spessore artistico di questo supergruppo.
Dal loro primo live ci si aspettava potenza, dinamicità, ritmo e un velo di sorpresa. Così è stato. Questa è una grande band non solo perché ciascuno dei membri ha un ruolo preciso nella storia alternativa italiana ma perché talento e stima reciproca hanno permesso di costruire pezzo dopo pezzo un disco eccellente, ricercato e pieno di sfumature un regalo inaspettato e un bene prezioso da custodire con cura
Articolo del
03/02/2019 -
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