Il grunge prima del grunge stesso: i Mudhoney da trent'anni sono l'emblema per eccellenza di questo incastro ruvido di suoni, padrini del Seattle Sound e di quel vortice sonoro “proletario” votato alla pura energia, sghemba e destabilizzante.
Roma e il Largo Venue vengono così musicalmente e idealmente catapultati all'interno di un'altra era, quella a cavallo tra la fine degli anni Ottanta e i Novanta, quella pregna di sudore, cuore e urla lacerate.
Ad anticipare l'apocalisse sonora dei Mudhoney ci pensano i Please The Trees, con le loro atmosfere profondamente psych rock. Il trio della Repubblica Ceca, in tour per presentare il nuovo Infinite Dance, restituisce una performance acida e travolgente, in balia di riff distorti e sonorità lisergiche.
È poi la volta di Mark Arm e soci, della storia, del passato e del presente del gruppo, che ha da poco pubblicato il bellissimo album Digital Garbage, di un live ad alto tasso di energia. Steve Turner con la sua chitarra tinteggia di note il live con precisione certosina, Dan Peters, in sordina, martella le sue pelli, Guy Maddison gioca col suo basso, cercando ripetutamente con lo sguardo e con simpatia il pubblico presente, mentre Mark Arm, al centro della scena, crea graffi vocali indelebili.
Non c'è una semplice e mera rivisitazione del passato, mista a nostalgia, in questo concerto; c'è la storia del rock nuda e cruda data in pasto ai presenti, schietta e sincera, senza sovrastrutture e manierismi di sorta, bella nella sua graffiante autenticità.
Si parte con Into The Drink, per poi volgere lo sguardo a I Like It Small ed Hey Neanderfuck. Il pubblico è in visibilio: c'è una ragazza che sale sul palco e, forse presa da un'incontrollabile vortice emozionale, prima dà uno spintone a Mark Arm e poi lo abbraccia; c'è chi poga senza sosta e chi fa stage diving...Ed è proprio Mark Arm che ironicamente mette in guardia i presenti:
“Se volete passarvi questi tizi sopra le teste, per favore, fatelo verso il fondo della sala, specialmente se il tizio in questione è un signore anziano. Non portateli verso il palco, nessuno vorrebbe farsi male....Forse pensate di poter fare questa cosa perché voi non siete il tizio anziano. Beh, siete proprio voi il tizio anziano, mi dispiace”.
Nella ricca setlist c'è posto anche per pietre miliari come You Got It, Suck You Dry e Touch Me I’m Sick, urlata da tutti a squarciagola, e ovviamente non manca nemmeno il bis, in cui si alternano cover dalle memorie punk- hardcore come Fix Me dei Black Flag e altri brani della band.
Un live dei Mudhoney è la perfetta trasfigurazione di un suono potente e tagliente che penetra l'ascolto e la pelle fino a sudare passione e coinvolgimento. Lasciarsi toccare da questo suono “malato” è tutto quello di cui il pubblico presente aveva bisogno.
(foto di Riccardo Rossi)
SETLIST: Into The Drink I Like It Small Hey Neanderfuck You Got It Nerve Attack The Farther I Go Judgement, Rage, Retribution And Thyme No One Has Kill Yourself Live Touch Me I’m Sick If I Think Next Mass Extinction Suck You Dry Prosperity Gospel Get Into Yours Night And Fog F.D.K. (Fearless Doctor Killers) Oh Yeah I’m Now Paranoid Core One Bad Actor The Only Son of the Widow From Nain 21st Century Pharisees
ENCORE: Here Comes Sickness Who You Drivin’ Now? Sweet Young Thing (Ain’t Sweet No More) The Money Will Roll Right In (Fang cover) Hate the Police (The Dicks cover) Fix Me (Black Flag cover)
Foto di Riccardo Rossi
Articolo del
27/11/2018 -
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