Arrivato alla quinta edizione, il festival più famoso del centro Italia anche quest’anno si presentava con una line-up di tutto rispetto, in grado di attirare folle di appassionati di vario genere, dall’elettronica al rock, dal punk allo showgaze senza mai schierarsi da una parte o dall’altra. Non c’è dubbio che il punto di forza siano stati gli headliner, sapientemente spalmati nelle due giornate clou del venerdì e del sabato, ma anche i gruppi considerati “minori” si sono saputi difendere e hanno portato a casa dei live di tutto rispetto.
A cominciare da Neil Halstead, fondatore degli Slowdive che di minore non ha proprio nulla e che, puntando sull’essenzialità delle sei corde, è riuscito ad incantare una nutrita presenza di pubblico ai Giardini di Palazzo d’Avalos, cornice ideale per esibizioni soliste dal tratto introspettivo. E mentre Halstead passava il testimone a Ryley Walker, la curiosità ha spinto molti a raggiungere il concerto a sorpresa di Nicolò Carnesi affacciato dal balcone in via adriatica che, con le note di “Mi sono perso a Zanzibar” e “Ho una galassia nell’armadio”, ha reso ancora più incantevole lo spettacolo mozzafiato dell’eclissi lunare, che in quel momento aveva quasi raggiunto il suo picco.
Subito dopo, dalle 21, è arrivato uno dei momenti più attesi della serata: il concerto degli Slowdive in Piazza del Popolo, che hanno regalato in assoluto uno dei momenti migliori del festival. In un live a metà tra shoegaze e dream pop, la band di Reading ha dimostrato grande abilità sul palco e una precisione che rasenta l’ossessione nel controllo degli strumenti. “Sugar for the Pill” con il basso dominante è stata un vero capolavoro ed è riuscita ad ammaliare, ma la notissima “Souvlaki Space Station” ha fatto risplendere ancora di più la meravigliosa voce di Rachel Goswell, cantante della band. Alla prestazione degli Slowdive, che indubbiamente hanno lasciato il segno, dividersi tra i Lali Puna al Cortile D’Avalos e M¥SS KETA a Porta San Pietro è stato doveroso. Quest’ultima, meteora o futura regina delle classifiche, con maschera nera e occhiale d’ordinanza, ha bersagliato il pubblico a suon di ironia, beat, provocazioni, riferimenti colti e sensualità esplicita, in uno strano mix che ha fatto ballare come pazzi tutti i presenti, prolungando con un piccolo encore la sua esibizione.
Sul fronte opposto (anche musicalmente parlando), invece, i tedeschi Lali Puna, la cui cantante Valerie Trebeljahr sin da subito si è collocata timidamente al centro del palco con la sua minuta ma essenziale presenza, in un live (ahinoi) non proprio sconvolgente ma comunque piacevole, che ha pescato a piene mani dal jazz, dal pop e dall’elettronica. A chiudere in grande stile la prima giornata di festival ci hanno pensato un gasatissimo Cosmo che, tra giacche piene di paillettes e coriandoli in aria a dare risalto al mood “festaiolo”, ha intonato “Sei la mia città”, “L’ultima festa” e altri brani del suo repertorio, riscaldando il pubblico in una festa sintetica ed elettronica, e i 2ManyDJs, i due fratelli Dewaele affiliati alla club culture alternativa da oltre 20 anni, che sono riusciti nel loro live a dare la giusta adrenalina e anche a rendere attualissimi brani appartenenti alla disco music anni ’70.
Il del Siren è iniziato un po’ a rilento, a causa della mancata esibizione dei Toys e dello spostamento di orario tra Rodrigo Amarante e Colapesce. Il cantautore siciliano però, tra abiti liturgici e ostie sconsacrate, è riuscito presto a far dimenticare il piccolo contrattempo iniziale trasportando tutta Piazza del Popolo nel suo mondo interiore, fatto di poesia, misticismo, rock e riferimenti a Battiato (come in “Totale” e “Sospesi”). Momento da ricordare sicuramente quando in “Maometto a Milano” i sax di Gaetano Santoro e Adele Nigro hanno rubato interamente la scena, così come spesso gli intermezzi vocali della giovane musicista, incredibilmente brava e a suo agio sul palco. A seguire, dopo una discreta fila per entrare ai Giardini, il cantautore brasiliano Rodrigo Amarante, famoso per aver composto la sigla della serie Netflix “Narcos”, ha saputo cullare tutti i presenti (rimasti rigorosamente in religioso silenzio) con la classe e l’eleganza che solo un fuoriclasse può possedere. Il successivo arrivo, invece, dei dEUS sul palco principale di Piazza del Popolo ha letteralmente infuocato gli animi dei presenti. La band belga era in gran forma e ha snocciolato alcuni dei grandi successi che li hanno resi noti al grande pubblico negli anni ’90 alternati ad altri più recenti (“The Architect”, “Constant Now”). Nelle chitarre spesso distorte non si trovavano sbavature né errori di sorta, ma era tutto perfettamente calcolato per far aizzare la folla, a cui Barman spesso si rivolgeva estasiato, forse anche stupito che in una location così piccola si fosse radunata tutta quella gente.
Non c’è dubbio che il punto di forza della serata di sabato, assieme ai dEUS e a Rotten &co, siano stati i Bud Spencer Blues Explosion. Il duo romano composto da Adriano Viterbini e Cesare Petulicchio ha soddisfatto pienamente tutte le aspettative, dando vita a un live a metà tra electric-blues e puro alternative costruito su perle come “E tu”, “La donna è blu” fino ad arrivare allo straordinario “Io e il demonio”, vera chicca della serata in occasione della quale lo stesso Davide Toffolo (Tre Allegri Ragazzi Morti ndr) ha preso piede sul palco al posto di Viterbini, in un’esecuzione mefistofelica e dal sapore dark.
Tra facce incredule e sorrisi compiaciuti, il concerto dei Public Image ltd. invece è sembrato finire in un secondo e il motivo è presto spiegato: la capacità di John Lydon aka Johnny Rotten di catalizzare l’attenzione per tutta la durata del concerto è stata altissima. Nonostante siano ormai stra-passati i tempi dei crestoni e degli eccessi autolesionistici, l’ex frontman dei Sex Pistols si è confermato un vero padrone di casa in grado di dare sfogo a tutta la gestualità, alla mimica facciale e all’inconfondibile timbro vocale che chi lo segue da sempre conosce bene. E mentre un piccolo problema tecnico ha afflitto il batterista, il Nostro ha continuato a intrattenere il pubblico a suon di imprecazioni, parole d’odio rivolte alla tecnologia e ironia a profusione poco prima di intonare la notissima “This Is Not a Love Song”. In estrema sintesi, la performance musicale che i PiL sono riusciti a costruire è difficile da mettere nero su bianco, ma senza dubbio resterà una delle migliori di tutte le edizioni del festival. Passare dalla musica che ti distende i nervi a quella che ti schiaffeggia selvaggiamente è possibile solo al Siren e forse è proprio questo che lo rende un festival unico nel suo genere, da vivere almeno una volta nella vita
Setlist(s) Slowdive Slomo Slowdive Catch the Breeze Star Roving Souvlaki Avalyn No Longer Making Time Alison Sugar For The Pill When The Sun Hits Golden Hair
Colapesce Aziz Pantalica Ti attraverso Vasco De Gama Totale Satellite Reale Egomostro Maometto a Milano Sospesi Restiamo in casa Maledetti italiani
dEUS If you don’t get what you want The Architect Constant Now Girls Keep Drinking Fell of the Floor, man Sirens Instant Street Quatre Mains Sun Ra Hotellounge Bad Timing Suds and Soda Encore Nothing Really Ends Reserve Slow Smokers Reflect
PiL Warrior Memories The Body The One Corporate Death Disco Cruel I’m not Satisfied Flowers of Romance This is not a Love Song Rise Roses
Encore Public Image Open Up, Shoom
Articolo del
31/07/2018 -
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