È certamente un futuro distopico quello che si presenta davanti ai nostri occhi. E anche nel suono, questa forma canzone sembra rallentare nei modi, sospendersi, non dare troppa soddisfazione alle abitudini del pop, anche quello più trasgressivo e digitale. Il progetto napoletano dei NoIndex fa il suo esordio con questo EP dal titolo “3024”: sono matrici di suono digitale e analogico mescolati assieme in forme per niente eccentriche o trasgressive. Siamo a due passi del “non-luogo”, ci viene restituita a pieno quella sensazione del non definito, come una nebulosa che, a guardarla bene, sa dimostrare un carattere rock per niente trascurabile. È il modo alternative del nuovo tempo che ci attende. È un concept: e qui l’invito che faccio di immergersi senza filtri dentro il Programma “Ataraxia”. A voi la palla… non fate gli automi, muovetevi verso… la chiacchierata è con Cris Pellecchia, bassista, compositore e arrangiatore dei brani. Con lui Francesco Paolo Somma (voce, autore dei testi e compositore) e Gianfranco Balzano in qualità di live producer e sound engineer.
Domanda provocatoria: perché pensiamo al futuro sempre con una piglio distopico e distruttivo per l’uomo? E se invece fosse il contrario? Forse perché abbiamo paura dell’ignoto? Forse perché ci prepariamo al peggio sperando che non vada così? O forse perché vogliamo mantenere sempre il controllo su tutto? Onestamente non so. So solo che, per quanto la distopia sia già viva dagli anni ‘60 come filone narrativo, non ha mai assunto ritratti reali come quelli di adesso, nei quali sento che stiamo mettendo piede davvero in un mondo distopico. Questa “non-consapevolezza” dell’uomo nei confronti di ciò che sta accadendo è a mio avviso una grande distopia, inquietante e non promettente per il futuro. Personalmente sono stato sempre molto ottimista nei confronti del futuro, ma negli ultimi anni ho avuto la sensazione che, in qualità di “specie”, stessimo puntando alle cose sbagliate: al progresso piuttosto che al benessere, a come vivere a lungo piuttosto che a come vivere meglio e soprattutto a come vivere nel rispetto dell’altro e del proprio ecosistema naturale. In quest’ottica, la “vision” del mondo (o di coloro che ne hanno il potere) non mi sembra in alcun modo costruttiva di qualcosa di qualitativamente alto, mi sembra più un burnout generalizzato in cui la parola “crescita” è sinonimo di “esaurimento”.
Penso a progetto come i The Residents, penso ad una certa contestazione sociale o ad un certo futurismo tecnologico come quello dei Daft Punk. Non avete mai pensato all’anonimato, all’uso di maschere o altro? Inizialmente John (il nostro producer) utilizzava maschere, ma il nostro dress code è in evoluzione, vogliamo per ora darci la libertà di sperimentare la nostra identità artistica e visuale per prendere poi una decisione più chiara in futuro. Ad ogni live proporremo qualcosa di nuovo. L’anonimato lo ritengo un autogol clamoroso per questi tempi in cui il music business e il marketing ti “costringono” a metterci la faccia dal punto di vista comunicativo. A meno che non si disponga di un alto budget in distribuzione, l’anonimato è impossibile, non siamo più negli anni ‘90. E poi, cosa più importante, la presenza dei nostri volti (e di quelli dei nostri fan) sta anche nella volontà di trasmettere la centralità dell’uomo (con il suo corredo di emozioni ed imperfezioni) che è il fulcro del nostro messaggio comunicativo.
Questo Ep si chiude però con un brano che inverte la marcia e mi sembra provare a tornare verso “i nostri tempi attuali”… o sbaglio? Diciamo che il ruolo di “Shiva” all’interno dell’EP è proprio quello di concludere il viaggio distopico verso un “ritorno all’uomo”. Per questo il brano suona decisamente più “calmo” ed “etereo”, proprio perché rappresenta la connessione dell’individuo con il suo sé. E’ un momento di consapevolezza puro ed eterno, totalmente antitetico rispetto ai momenti che non riusciamo a ritagliarci nel nostro presente, in quanto troppo presi dalle nostre vite prestazionali.
Secondo voi arriveremo per davvero ad un futuro simile? In altre parole: tutto questo concept prende anche spunto da qualcosa di concreto e reale? Quando ho iniziato a scrivere il concept “3024” ero appena uscito da un periodo di studio intensivo degli strumenti d’intelligenza artificiale e Francesco stava affinando le tecniche di produzione dei video con l’AI. Questo turbinio tecnologico mi ha fatto viaggiare con la mente tantissimo e mi ha portato a scrivere il concept chiaramente ispirandomi a tutti i riferimenti della cinematografia distopica (Fringe, Matrix, V per Vendetta, Minority Report, Black Mirror). Onestamente però mai avrei pensato che alcune cose che avevo immaginato dalla mia cameretta potessi trovarle nel mio feed Instagram a distanza di pochi mesi. Vedere per esempio i big delle aziende Hi-Tech (Musk su tutti) nelle fila del governo statunitense con ruoli determinanti per il futuro del paese è la riproposizione nel reale del nostro concept in cui Ataraxia, l’azienda di AI che grazie al suo potere economico riesce a ottenere anche quello politico, sociale e individuale, arriva a dirigere in maniera totalizzante il pensiero delle masse. Non sto chiaramente dicendo che questa neo-oligarchia sia già arrivata a questo punto estremo (a mio avviso non manca molto), ma ritengo che abbia interessi reali nel creare un controllo individuale dell’uomo in favore dei propri profitti. Quindi, per concludere, direi che il concept ha fatto un viaggio al contrario: da immaginario a reale e non viceversa.
Dal vivo quanto di queste composizioni trovano anche spazio per dedicarsi all’improvvisazione? In uno dei nostri show abbiamo introdotto i pezzi all’interno di uno spazio di musica elettronica improvvisata chiamata “Caos Creativo”. L’obiettivo del nostro progetto però non è lavorare sull’improvvisazione, ma sul creare un percorso narrativo e musicale ben delineato che, proprio come le AI, lascia poco spazio all’improvvisazione.
Articolo del
03/03/2025 -
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