19 marzo 2021: Michel Sardou riceve dal ministro della cultura Roselyne Bachelot le insegne di ‘Commandeur de la légion d’honneur’. Come mai è ancora così popolare nel 2021? E chi è Michel Sardou?
Michel Sardou, ‘chanteur de varieté’ e attore francese, nasce a Parigi il 26 gennaio 1947 da Fernand Sardou, attore comico originario di Tolone/Marsiglia, e da Jackie Sardou, parigina, ballerina e attrice comica. I suoi genitori non erano vedette di prima grandezza, ma sono sempre stati molto amati dal pubblico. Il ritratto più esaustivo su Michel Sardou che è possibile leggere sulla stampa italiana è un articolo de La Repubblica scritto il 12 febbraio 1991 dalla giornalista Laura Putti che ha assistito ad un suo spettacolo a Bercy: “abbiamo visto come per miracolo 14 mila persone osannanti, obbedienti, tutte d' accordo…L'amore del pubblico è infinito, il colloquio continuo: lui parla e la gente gli risponde, come un reverendo ed i suoi fedeli ad una messa battista…Sardou è popolare, populista, spesso retorico e demagogo, tradizionalista benpensante. E soprattutto parla chiaro e semplice, il linguaggio della gente comune…”.
Studente di teatro di giorno e cantante nei cabaret la sera, a teatro conosce Michel Fugain. Scrive testi e Fugain scriverà le musiche delle sue prime canzoni ed entrambi capiranno di voler far carriera nella musica. Seguiranno due audizioni da Barclay e Sardou sarà ingaggiato dal direttore delle edizioni Marines, Naps Lamarche, dietro incoraggiamento della sua segretaria: Sardou già conquistava le donne! Conosce allora Regis Talar, suo primo e storico produttore, al quale vuole presentare una canzone per Hugues Aufray, con Michel Fugain che lo accompagna alla chitarra. Talar ricorderà di essersi sentito come aggredito da quel ragazzino che emanava qualcosa di molto potente, soprattutto negli occhi.
Per sfondare allora bisognava essere trasmessi alla televisione o alla radio e la radio significava Europe 1 e la trasmissione “Salut les Copains” (1959-69), non solo un programma nel quale vengono diffusi 45 giri di rock americano e dei giovani francesi dello yé-yé, ovvero gli interpreti dei successi americani in francese, ma anche una rivista che fa conoscere gli idoli del momento e le loro canzoni. Come facevano gli altri giovani di allora, Sardou si presenta dal conduttore Michel Poulain con il suo disco in mano, ma lui lo getta nel pattume, senza ascoltarne nemmeno una nota. Anni dopo, sarà il signor Poulain a cercare un impiego presso la casa discografica di Sardou e sarà Sardou a mandarlo via.
Sarà l’animatore dei programmi del mattino di Europe 1, Maurice Birard, qualche tempo dopo, a trasmettere per tre volte di seguito la canzone ‘Petit’, visto che risultava diversa dalle solite fesserie abituali. ‘Petit’, come ricorda Talar, sarà la prima canzone di Sardou che godrà di un vero e proprio lavoro di edizione, con la musica suonata da un’orchestra su testo di Sardou e sarà anche quella che porterà i primi soldi in quanto a diritti d’autore, consentendo al suo autore qualche comparsata in televisione. Tuttavia, ci vorrà ancora qualche anno prima che la carriera di Sardou decolli.
Nel 1969 la sua carriera sembra arrivata al capolinea, i suoi dischi non vendono e il proprietario della sua casa discografica, Eddy Barclay, gli revoca il contratto. Il suo produttore Regis Talar e il compositore delle musiche delle sue canzoni Jacques Revaux decidono di investire i loro risparmi nella creazione di una casa discografica, Trema, grazie alla quale Sardou diventerà famoso. Talar ricorda che aveva preso a cuore subito Michel e che, solamente pochi mesi dopo averlo conosciuto, gli aveva chiesto già di essere testimone al suo matrimonio. Come altri grandi artisti prima di lui, Sardou viene ingaggiato nei cabaret di Montmartre (‘Chez Patachou’). Qui si era formata e non sarà mai soppiantata la grande canzone melodica d’oltralpe, prima dell’arrivo della discografia moderna e della televisione dall’America.
Il patron dell’Olympia Bruno Coquatrix lo conosce dall’infanzia, quando veniva a vedere il padre esibirsi: lo lancia, lo incoraggia e lo sostiene fino alla sua morte avvenuta il primo aprile 1979. Sardou esordisce nel febbraio del 1970 come ‘vedette anglaise’ di Enrico Macias e canta tre canzoni. In ottobre, torna come ‘vedette americaine’ di Sylvie Vartan e di Jacques Martin. Canta nove canzoni. Sua nonna materna, la ballerina Bagatelle, ancora viva, gli porta gli spuntini la domenica per le matinée. Sarà un trionfo e Coquatrix lo farà firmare subito per l’anno successivo come ‘tête d’affiche’. Esordisce il 3 novembre del 1971 e la serata finale sarà applaudito per 12 minuti. Nel 1973 rientra come vedette per due mesi, con un recital: il primo giovane ad esibirsi nella forma di un recital che era riservato di solito ai grandi! Il Nostro, tuttavia, non otterrà il successo sperato, almeno a livello di critica. Aznavour, amico di suo padre, gli porterà in regalo un volume pieno delle critiche cattive e pesanti che riceveva all’inizio della carriera e gli dirà di leggerlo per sentirsi meglio. Canterà ancora all’Olympia nel 1974, 1975 e 1976 per poi ritornarci nel 1995 (5/6 mesi e 113 rappresentazioni, un record ad oggi imbattuto), 2011 e 2013. Sardou col tempo si era spostato prima al Palais des Congrés (dal 1978) e poi a Bercy (dal 1989).
Il Nostro non è amatissimo dalla critica e dalla stampa specializzata, come dimostrano le sole 5 ‘Victoires de la Musique’ ottenute in 35 anni, molte grazie ai record di spettatori ai suoi concerti, senza ricevere nessuna Victoire d’onore al termine della sua carriera nel 2018: a quanto pare, secondo il giovane cantante Vianney, oggi non si ha il diritto di dire che si ama Sardou! Nel 1980 la carriera di Sardou è caratterizzata da un momento di stallo, Sardou passa un periodo di crollo fisico e mentale, dopo anni di enorme successo, ma anche di sopravvivenza. Sopravvivenza da cosa? Negli anni Settanta esistevano veri e propri comitati anti-Sardou che manifestavano davanti alle sale da concerto e, in alcuni casi, tiravano colpi di pistola alla sua macchina o, a Bruxelles, inserivano ordigni esplosivi dentro la sala caldaie della sala da concerto di Forest National. Gli scontri culminano nel 1976/77, anno in cui Michel ha scritto una canzone a favore della legge del taglione: la sua tournée, troppo rischiosa per lui e per il pubblico, verrà interrotta e lui dirà che gli hanno distrutto il suo sogno d’infanzia. Le femministe lo accusano da sempre di essere antifemminista e misogino.
Saranno i grandi cantanti di sinistra come Yves Montand e Serge Reggiani a prendere le sue difese in nome della libertà di espressione e Sardou si mostrerà sempre riconoscente nei confronti di questi professionisti della musica. Il cantautore Renaud, invece, che otterrà il suo maggior successo negli anni Ottanta, nel 1977 componeva dei pastiches prendendo in giro Michel Sardou, proprio nel suo periodo di maggiore difficoltà: ‘Si Michel Sardou n'était pas là, le show-business sentirait bon, c'est peut-être un peu dur ce que je dis là, mais j'ai pas de pitié pour les cons’.
Sardou rappresentava il bersaglio ideale per qualunque contestazione, lui solo da una parte, in una Francia molto divisa tra la destra e la sinistra. Riconosce comunque in tutti questi avvenimenti anche un lato molto positivo, dato che l’importante per un artista non è somigliare agli altri, conta differenziarsi. Il Nostro confessa di essere un artista particolare, che si ama o che non si ama, un professionista diverso dagli altri, qualcuno di particolare e questa sua peculiarità ha sicuramente contribuito al suo enorme successo.
Nel 1980 sono passati quattro anni dalla morte di suo padre, circostanza che Michel non ha mai superato; da allora è perseguitato dall’idea della morte, la ferita è diventata più profonda, non si è mai cicatrizzata, il vuoto non ha mai cessato di aumentare, nonostante in quegli anni rappresenti la star più significativa del panorama musicale francese, almeno a livello di pubblico. È come se fosse saltato, è paragonabile, secondo me, al cantautore Gino Paoli quando si è sparato il colpo di pistola al cuore. Sardou non riesce più ad andare in scena. Crolla per almeno un anno. Il padre di Sardou è morto infatti il 31 gennaio 1976, dopo aver cantato la mattina in una trasmissione televisiva. Si trovava a Tolone, nel teatro dell’Opera, dove avrebbe dovuto recitare la sera, crolla a terra e muore. La fine dell’autobiografia di Sardou, nella quale questa morte è descritta minuziosamente, è straziante, il narratore si confonde e la sua voce si fonde con quella del padre nel racconto, come se fossero la stessa persona, come se alla fine il padre rinascesse in lui. Si evincono dal racconto il suo amore per il padre e la tristezza personale nell’aver vissuto senza avergli potuto parlare, tristezza che ritroviamo in tutte le sue interviste e anche nei testi di alcune sue canzoni.
Se percorriamo la carriera più che cinquantennale di Sardou possiamo vedere come non abbia conosciuto momenti bassi e bisogna sottolineare la sua precocità come autore, poiché egli ha iniziato a scrivere le sue prime canzoni quando non aveva ancora vent’anni, nel 1965. Queste appaiono già molto mature: testi scritti a 18/19 anni come ‘Les Ricains’, ‘Se avessi un fratello’ o ‘Il centro del mondo’ sono eccezionali. Esistono testi da lui cantati in gioventù che hanno un’anima che cattura e viaggia nel tempo: i grandi autori colgono l’attimo e riescono in poche righe a raccontare quadri e squarci di vita che non hanno età. All’uscita dell’album delle contestazioni, ‘La vieille’, nel 1976, anno della morte di suo padre, Sardou ha appena compiuto 29 anni, è già sposato e ha tre figli.
Il Nostro compone nel 1985 con Pierre Delanoë la canzone “Vladimir Ilitch” in memoria di Lenin, prima della caduta del muro, prendendo spunto dalla scena finale del film ‘l’Aveu’ di Costa Gavras con Yves Montand in cui, nelle vie di Praga nel 1968, il protagonista legge sui muri: ‘Lenin réveille-toi, il sont devenu fous’. Ancora una volta, il Nostro fa scrivere i giornali: ‘Sardou si rivolge a Lenin’. Michel poi cessa di collaborare con Pierre Delanoë, suo storico paroliere e paroliere di Gilber Beacaud e Joe Dassin e inizia una proficua collaborazione con Jean Loup Dabadie (grande autore di canzoni per Serge Reggiani, autore entrato a far parte dell’Académie Francaise, morto nel 2020) e Didier Barbelivien. Nel 1988 canta la Marsigliese prima della finale del Roland-Garros, nel 1989 canta per la prima volta a Bercy, nel 1995 canta per sei mesi consecutivi all’Olympia di Parigi. Nel 1991 canta per la prima volta a Bercy la canzone ‘Le Privilege’, storia di un ragazzo omosessuale che ha paura di parlare delle sue scelte ai genitori e ha paura di non essere accettato dalla sua famiglia.
Nel 1998 la madre di Sardou muore dopo un attacco cardiaco, mentre Michel è impegnato in un concerto, perché, come ogni artista che si rispetti, continua il suo spettacolo, pur dispiacendosene in seguito, perché la madre, secondo lui, aveva qualche cosa da dirgli. La sera del funerale canta a Nancy e il pubblico gli tributa l’amore più grande mai visto e che dura ancora oggi (sono in molti ad emozionarsi ancora se lo ascoltano alla televisione o alla radio). Un bambino, mentre canta quella che è la canzone dedicata a sua madre, ‘La fille aux yeux claire’, con la voce leggermente velata, gli si avvicina e gli stringe la mano, a simboleggiare l’amore che il pubblico, riprendendo con lui il ritornello della canzone, aveva per sua madre e per lui.
Nel 2001 l’artista rompe con i suoi produttori storici Revaux e Talar. Nel 2000 quei rapporti fino ad allora così amichevoli (Sardou è stato testimone di nozze di entrambi) sfoceranno in tribunale e Sardou si cercherà una nuova casa discografica, Universal: proprio lui che non era mai stato sotto contratto con una Major. Sardou non nominava nemmeno più i suoi ex collaboratori, mentre oggi, morto da poco Talar, li ricorda con nostalgia. In questi anni entra prepotentemente nella vita di Sardou il suo amore di gioventù, il teatro. Fino al suo approdo alla Universal nel 2004 Sardou è proprietario di un teatro e, anche dopo, continuerà a recitare, portando avanti la tradizione dei suoi genitori. Una tradizione che oggi sono i due suoi figli maschi, uno scrittore e uno attore, a continuare. Bisogna ricordare qui che, nel 1999, un anno dopo la morte di sua madre, Sardou e la sua seconda moglie Babette divorzieranno e, pochi mesi dopo, Sardou sposerà Anne-Marie Périer, figlia del grande attore François Périer, suo grande amore di gioventù e direttrice del settimanale Elle.
Per tanti anni Sardou presentava le canzoni alla televisione, in trasmissioni eredi del varietà, organizzate attorno a lui, che era l’ospite d’onore. Col tempo, Sardou si è trovato dentro un mondo nuovo, in cui ha fatto molta fatica a ritrovarsi, poiché il suo mestiere era diventato una vendita di un prodotto e la televisione serviva solo per essere intervistati e vendere il disco e la tournée, mentre lui aveva sempre avuto voglia di cantare le sue canzoni, sperando poi che le persone le acquistassero. Sardou ha perso il suo gruppo di lavoro, quello che lo spingeva a incidere di nuovo un testo se la registrazione non era buona e ho il dubbio che i suoi ultimi collaboratori non abbiano avuto la forza di fare altrettanto, che non abbiano avuto la spinta giusta, che lo conoscessero di meno. Trema era una grande famiglia e un giorno è morta e con essa è svanito anche quel mondo. Dopo la rottura con Trema per l’artista è iniziato un viaggio nuovo nel mondo di una major e ha preso avvio la sua partecipazione alla Star Academy.
Va detto che non ha mai eccessivamente amato la televisione, che per lui era un passaggio obbligato; quasi una spina nel fianco. Sono stati altri a fargli vedere e a capire quanto fossero importanti l’inquadratura, l’occhio della telecamera, quanto contasse tutto quel mondo che stava attorno alla prestazione scenica, per aiutarlo a crescere e a diventare la vedette che è diventata. Colui che curava prima la sua immagine era Talar, a cui Sardou deve molto, anche se non l’aveva mai ammesso apertamente davanti alle telecamere. La televisione è stata molto importante per l’affermazione di Sardou, potremmo dire un certo tipo di televisione. La gente lo vedeva e Sardou va visto, non solo ascoltato: bisogna vederlo recitare le sue storie in musica per apprezzarlo davvero. Bisogna dire che Sardou è anche radio. Molti conduttori radiofonici che decidevano in quell’epoca erano donne: Monique Le Marcis e Arlette Tabart, ad esempio, lo mettevano in programma spesso. La forza del pubblico femminile sarà preponderante ai suoi concerti: le donne cantano e battono le mani, mentre i mariti che le accompagnano fanno una smorfia. Alla televisione, Talar ha puntato sempre su inquadrature che catturassero lo sguardo di Sardou e aveva ragione. Anche adesso, da vecchio, quello che colpisce di Sardou sono gli occhi, sempre mobili, mai fermi, che scrutano il pubblico, anche a teatro.
Come abbiamo detto prima, Sardou ha anche voluto essere attore. Vuole ripetere in fondo la vita di suo padre, si sta facendo un regalo, adesso che può e questo regalo è anche un ricordo continuo di suo padre, a cui assomiglia sempre di più. C’è come un legame molto profondo, quasi invisibile, tra Sardou e suo padre, come se la canzone fosse stata solo una felice parentesi, come se la vera carriera per Michel fosse rappresentata adesso dal teatro. Nel 2018 il Nostro decide di porre fine alla sua carriera di cantante, la sua voce si è infatti indebolita, nel 2013 Michel ha persino rischiato di non poter cantare più a causa di un grave problema alle corde vocali. Da allora, Sardou sceglie di dedicarsi alla professione di attore. L’ultima tournée trionfale è stato il suo messaggio di ringraziamento a quel pubblico che lo ha sempre seguito fedelmente. Non canterà più, ma le sue canzoni saranno riprese dalla commedia musicale prodotta da Roberto Ciurleo che dovrebbe vedere la luce nel 2021 e che si chiama ‘Je vais t’aimer’, nella speranza che gli interpreti delle sue canzoni rendano loro giustizia.
La carriera di Sardou, sebbene nata sotto la buona stella dei suoi genitori, è stata una vita fatta di fatica. Secondo lui ai giovani noi oggi facciamo credere che basti essere conosciuti alla televisione per diventare famosi ed essere una star. Nella realtà è facile perdere il lavoro per questi giovani che non conoscono il mestiere. Il mestiere per Sardou e anche per Paoli significava la follia di poter crescere lentamente, di imparare, di commettere errori, di riprendersi, di sapere che il sogno poteva continuare. Rappresenta anche la spontaneità di vivere liberi e, nel caso di Michel, correre per tutta la Francia cantando nei Gala senza troppe regole e rimanere se stessi, senza che la propria carriera sia stata preordinata, senza il bisogno impellente di avere successo a tutti i costi, e concedendosi tutto il tempo indispensabile per crescere.
Nella realtà, quando Sardou ha iniziato a cantare, attorno al 1965, in Francia, oltre alle leggende e cariatidi storiche come Jacques Brel, Jean Ferrat, Gilbert Becaud, Charles Aznavour, Charles Trenet, Maurice Chevalier, Yves Montand, Serge Reggiani, Juliette Greco, dominano anche i giovani che si ispirano all’Inghilterra e all’America, come gli Ye-Ye, il grande Johnny Hallyday, Sylvie Vartan, Françoise Hardy, Jacques Dutronc, Michel Polnareff, Joe Dassin, Eddy Mitchell, Michel Delpech, Claude François e altri. Pochi anni dopo nascerà un altro mondo, quello del maggio del ’68 e della contestazione. E Sardou? Dove si pone il Nostro in questo panorama? Stranamente, Sardou non si pone né dalla parte dei cantanti impegnati della Rive Gauche né si allinea con quelli che si compattavano attorno al rock americano. Non canta cover di successi americani. Si rivolge già a quella parte di pubblico che non capisce queste novità, che non si rivede nei giovani di quel periodo. Michel si rivolge ai vecchi laudatores temporis acti suoi contemporanei! In televisione lo presentano come giovane attore figlio di celebri attori, che non lascia mai il quartiere di Montmartre e che nella canzone dà una testimonianza sul mondo Beatnik che lo affascina, ma del quale, con talento, non fa parte. Sardou non fa parte dei beatniks, degli yé-yé e nemmeno dei cantanti impegnati. Sta in un mondo a parte, tutto suo, difficilmente classificabile.
Sardou canta profeticamente un mondo che poi si è avverato, oppure nello stesso tempo ricorda anche un tempo passato di ricchezza, di felicità, di sale da ballo, il simulacro dei simboli della Francia. Queste canzoni, invero, sono pervase da un amore folle, per le donne, per il paese, per la famiglia, per i figli. Ovviamente, con il successo, Sardou è diventato ricco e la sua immagine si è trasformata nel tempo. Passata la cieca rabbia iniziale sono subentrati un furore silenzioso e un pensiero nostalgico rivolto al passato, a quel mondo leggero e spensierato che oggi non si vede più. Ma possiamo chiederci: esiste uno stile Sardou? Direi che l’abilità di Sardou, il quale riesce a parlare non solo di se stesso, ma anche della sua professione con profondità e lucidità, consiste nel far divertire il pubblico attraverso la scena, poiché, come dirà già nel 1974, per lui il disco è un pretesto, per farsi conoscere e ascoltare, in vista del concerto, dello spettacolo sulla scena che è quello che davvero conta per lui. Per lui il disco non è un prodotto di consumo, anche se lui è stato uno di quelli che lo hanno reso tale. Il Nostro aveva nel sangue l’inclinazione a far divertire, mentre chi gli ha insegnato la tecnica della scrittura della canzone è Vline Buggy, celebre paroliera di tantissimi successi di Claude François e della celebre ‘Céline’ di Hugues Aufray su musica di Mort Shumann. Buggy gli insegna cosa significhi il ritornello e, soprattutto, l’uso del ‘je’, ‘io’, nei testi. Quest’autrice scriverà pochi testi per Sardou, ma saranno sufficienti per instradarlo nel mestiere e lei assisterà al suo primo e al suo ultimo concerto.
Sardou è credente, ma solo quando ne sente il bisogno, ama uscire con gli amici, appare allegro e spensierato senza la compagnia delle donne, non ha infatti alcuna paura di sembrare misogino. Nelle interviste che rilascia all’età di 25 anni si esprime già con chiarezza sul suo mestiere e sulla sua vita, sembra molto più maturo rispetto alla sua età. Negli anni ‘70 il pubblico si stava riavvicinando allo spettacolo vero, quello dei teatri e delle arene del Music Hall. Per Michel è importante vedere il pubblico, vedere come reagisce alle canzoni sulla scena, rendersi conto se una canzone tiene banco, perché fare una canzone non è la cosa più semplice al mondo. La scena, per lui sacra come il pubblico, è quello che conta e sul palcoscenico lui sarà sempre come una calamita che attira la gente. Sardou fa l’istrione e galvanizza il pubblico sia da giovane, ma, anche da vecchio, conosce i trucchi del mestiere, l’occhio è sempre rivolto al pubblico, del quale riesce a cogliere sempre gli umori.
Non posso affermare, come sostiene invece la giornalista di Repubblica, che il pubblico lo segua come un messia, ma, piuttosto, penso che lui riesca a seguire le emozioni della sala e sappia provocarle, sia che si trovi a Parigi, sia che si trovi in una piccola città qualunque della Francia. In questo, sicuramente, Michel è figlio di Fernand. Per Sardou essere popolare è un dono del cielo di cui pochi possono vantarsi; avere una folla che lo accoglie è straordinario, per lui conta più dell’amore. Sardou, ancor giovane, è già cosciente dei temi delle canzoni che amerà sempre cantare: le relazioni tra uomo e donna, sposati o no, ma sempre comunque con complicazioni. Il tema della rottura è un suo cavallo di battaglia. Altre tematiche sono il rapporto con i bambini; la vita e la morte, gli ubriaconi; ‘les galeriens’, gli uomini con problemi, le avventure, la storia. Sardou preferisce parlare più di uomini che di donne, si relaziona meglio con gli uomini.
L’evoluzione maggiore che notiamo dal Sardou giovane all’anziano riguarda il suo rapporto con le donne, in quanto Michel diventa decisamente più ‘rispettoso’, nei confronti delle compagne della sua vita, riconoscendo tutti gli errori che ha commesso nei loro confronti e ringraziandole tutte per il supporto che gli hanno dato in momenti diversi della sua vita. Michel guarda con occhi critici la sua vita passata, possiamo evincerlo da poche dichiarazioni, ma queste frasi ci mostrano un uomo cambiato, più riflessivo nel suo modo di parlare. È positivo secondo me il fatto che egli ammette che non si è sempre comportato bene, sia con la prima sia con la sua seconda moglie. Riconosce di averle tradite, di avere avuto delle avventure e sostiene che il divorzio dalla sua seconda moglie è avvenuto solo per colpa sua. La sua grande amica, l’attrice Mireille Darc, lo definisce un patriarca, nel bene e nel male. Sardou si sente l’erede dei Sardou, è un uomo cresciuto in un altro mondo, legato moltissimo a suo padre, che voleva che fosse fiero di lui e non lo ha mai apprezzato e riconosciuto del tutto, poiché è morto troppo presto. Le sue due figlie sono nate dal primo matrimonio e le ha cresciute la madre, non hanno visto molto il padre, visto che era un genitore che correva sempre da un angolo all’altro della Francia, per cercare qualche cosa di grande ed enorme. I due figli maschi, invece, sono nati dal secondo matrimonio più felice, durato vent’anni.
Fino a qui abbiamo parlato positivamente del personaggio Sardou, ma, nella realtà, com’è Sardou?
Sardou viene definito un timido impulsivo, il quale o resta in silenzio o parla troppo di tutto, sia sulla scena, sia in televisione, soprattutto in questi ultimi anni. In fondo è un bene, questa circostanza lo fa scendere dal piedistallo dorato sul quale si pone quando canta. Questo suo caratteraccio gli ha creato numerosi problemi, ad esempio, lo ha fatto litigare con il suo amico Johnny Hallyday, che non ha sopportato una battuta poco carina che Sardou ha pronunciato sulle sue figlie adottate in Vietnam. Un’amicizia di 40 anni rotta per una battuta infelice, un rapporto così stretto tra i due, nato dall’adorazione di Sardou ragazzo verso Hallyday, sfociato in un silenzio prolungato anche in seguito alla malattia di Hallyday. Non si può parlare di un artista (Sardou) senza citare l’altro (Hallyday), data la piccola differenza di età di soli quattro anni, nonostante Johnny abbia più volte preso in giro Sardou dicendo che lui lo aveva conosciuto quando era ancora in pantaloncini corti.
Pur essendo difficilmente classificabile e poco amato dalla critica, nella realtà Sardou ha intrattenuto sempre un ottimo rapporto con molte vedette della sua epoca, come Serge Gainsbourg (a cui consegnerà un riconoscimento alla carriera), Barbara (che era una sua intima amica e lo ha seguito per un periodo durante le sue tournée), Dalida (per la quale ha scritto una canzone), Claude Francois (si dividono il pubblico femminile e cantano entrambi ‘Comme d’habitude’, versione originale di ‘My Way’), Serge Lama (entrambi raggiungono il successo nel 1973 e entrambi sono legatissimi alla memoria dei loro padri). Abbiamo detto come Sardou abbia scritto testi certamente canticchiabili, ma anche profondi, in alcuni casi potremmo dire profetici, come ad esempio ‘Les villes de solitude’ che fa parte delle canzoni di Sardou che più gli vengono rinfacciate. In questa canzone Sardou descrive le prime periferie che diventeranno le banlieues e ci mostra un ragazzo che non sa che fare della propria vita, che si ubriaca pur di superare la giornata in quell’ambiente difficile e povero. Sotto i fumi dell’alcool quel ragazzo sogna di distruggere vetrine, di passare con il rosso e di violentare donne, forzandole ad ammirarlo. Torna a casa, ha paura di aver disturbato i vicini, di avere commesso crimini indicibili, ma si accorge di non aver rotto nulla, che tutto era passato nella sua mente e che lui non aveva agito. Sardou, infatti, fa interrompere il ragazzo prima che passi all’azione. Sardou utilizza la prima persona nel suo testo, usa ‘Je’, ‘Io’ e molti pensano che sia lui l’ubriaco che vuole costringere le donne ad ammirarlo, che sia lui che le vuole violentare. Quello che non capiscono è che Sardou racconta delle storie, è un attore che canta invece di recitare. Le femministe gridavano durante le loro manifestazioni: ‘non saremo stuprate da Sardou’.
E nella sua vita? Come vive Sardou? Si sa che Claude François aveva tante ragazzine davanti alla sua porta, mentre Sardou ha sempre mantenuto separata la sua vita privata dal suo lavoro, almeno fino al 1976, quando, alla televisione, prima di un suo concerto all’Olympia, gli chiedono dei suoi figli nati nella stessa settimana da due donne diverse. Sardou, senza scomporsi troppo, dice che la sua vita privata era allora piuttosto tumultuosa, ‘è un segno di buona salute, in fondo’. Sardou, sposatosi a 18 anni con Françoise per ottenere l’indipendenza prima della maggiore età che si raggiungeva solo a 21 anni, aveva avuto una figlia, Sandrine. Conosce e si innamora poi perdutamente di Babette, ma non riesce a decidere cosa fare. Nel 1973/74 le sue due compagne partoriscono a poche settimane di distanza, prima nasce Cynthia e poi Romain: questo breve intervallo di tempo, questo record gli verrà rinfacciato da allora. Nella sua autobiografia il Nostro si incolpa per il fallimento dei suoi matrimoni, menziona le sue avventure amorose, descrive i suoi drammi, confessa il suo consumo di droga (come Gino Paoli, del resto, per un breve periodo della sua vita) e di alcool, senza dire quanto. Michel scherza anche sulla possibilità di avere figli nascosti. La sua autobiografia è triste, velata di malinconia, Sardou racconta quello che vuole che la gente sappia.
Da appassionata di Gino Paoli, questa notizia su Sardou non mi ha troppo colpito, poiché la stessa cosa era capitata dieci anni prima proprio al cantautore Paoli, ma oggi questo lato della sua vita è come se non esistesse, perché viene sempre mostrato con la sua famiglia felice, come un grande patriarca. All’epoca anche a Gino Paoli avevano fatto la morale, a quanto ho letto nelle sue biografie. Il 13 luglio del 1964 nasce Giovanni e il 31 ottobre 1964 nasce Amanda. Sardou e Paoli, amante di Leo Ferré e di Brel, uno a destra e l’altro a sinistra, sono due persone che più diverse non potrebbero essere, eppure entrambi hanno una voce riconoscibilissima che ha contribuito al loro successo di pubblico; da un lato l’ampiezza vocale e la dolcezza, dall’altro una voce talmente strana e incisiva da essere adatta a cantare parole sempre nuove che, nel caso di Paoli, ha sempre scritto lui e, nel caso di Sardou, ha composto sia da solo che con altri.
Non posso fare a meno di pensare alla vita di Paoli e di Sardou e mi viene in mente che entrambi sono legatissimi alle loro origini familiari: Paoli trae il filo dell’esperienza dal suo albero genealogico, mentre Sardou cerca ancora oggi di essere all’altezza di suo padre al quale continua a parlare ininterrottamente dal giorno della sua morte. Paoli accompagnerà i nonni anziani quando si sposeranno in chiesa, mentre Sardou vedrà le nozze in chiesa dei suoi e, in quell’occasione, in quel continuo dire e non dire che caratterizza tutta la vita della famiglia Sardou, si scoprirà che il padre, Fernand Sardou era stato battezzato con un altro cognome, perché non era stato riconosciuto subito alla nascita dal genitore, a causa della vita sregolata che il nonno conduceva come artista. Riguardo alla scuola, basti dire che sia Sardou sia Paoli non sono stati scolari modello: tra collegi e scuole pubbliche non si è diplomato nessuno dei due. Entrambi grandi lettori, hanno sentito l’esigenza di dire qualche cosa, Paoli con temi e parole nuove che in Italia non si erano ancora sentite, Sardou con l’urgenza di voler essere qualcuno di diverso dagli altri del suo tempo. Paoli scappava dalla scuola, Sardou, messo alla porta da varie scuole, sarà mandato in collegio, il famoso Montcel a Jouy-en-Josas, in cui ha studiato anche il premio Nobel della letteratura Modiano. Michel resterà in questo istituto fino a quando non deciderà di scappare con un amico per andare a Rio in Brasile, finendo bloccato dalla polizia all’aeroporto di Orly e verrà riconsegnato al padre il quale gli dirà che, se vuole smettere di studiare e iniziare il mestiere di artista, dovrà guadagnarsi la vita da solo e tornare a casa solo se malato.
Sono diventata sempre più cosciente del fatto che Sardou sia un corpo estraneo al mondo musicale francese, sia per carattere sia per tipo di musica, ma, ultimamente, alcuni giornalisti di France Culture hanno addirittura dedicato articoli di giornale a Sardou, in uno dei quali il giornalista cercava di darsi una spiegazione su che cosa rappresentasse Sardou per la Francia media, arrivando quasi a riconoscere che non è possibile non riconoscerci in alcune delle cose che canta Sardou. Alla morte di Valéry Giscard d'Estaing, il giornale Liberation ha ricordato la canzone di Sardou “Le temps des colonies”, come esempio dell’Africa di epoca Giscardiana, quell’epoca che Sardou ha cantato nella sua canzone “Le France” (canzone che gli è valsa un controllo fiscale) e che, in parte, ha preso in giro, in “Ils ont le pétrole”. Una giornalista di Tf1, durante un’intervista del 1999, gli dice che lui è spesso considerato come un editorialista del suo tempo e, in parte, è vero, e forse è anche per questo che il suo successo è durato e dura ancora.
Dopo 56 anni di carriera infaticabile, cosa gli si potrebbe chiedere ancora? Sardou ha dato tutto se stesso per il mestiere e anche adesso, sulla scena, si diverte come un ragazzo. Lo ripeto con forza qui in queste righe finali, perché Sardou è la scena, non potrebbe essere altrimenti e non si può comprendere Sardou senza pensare al palcoscenico. Ogni canzone è una piccola recita, un piccolo spettacolo teatrale. Un suo concerto non è una ‘messa battista’ come diceva la giornalista di Repubblica, ma un grande spettacolo di luci, di voce, di rilassamento totale del pubblico che si estrania dai suoi problemi. Oggi restano i suoi dischi e i suoi video, ricordo perenne di una grande voce. Non è uno chansonnier, è un chanteur populaire, un chanteur de varieté diventato ‘la nostalgie de demain’, anche se il suo passato non lo ha mai abbandonato e, nel bene o nel male, ritorna fuori in ogni intervista. Ha paura di mostrarsi Sardou, tutto è diventato per lui più triste, gli amici sono morti, nelle interviste sembra spesso che parli troppo, forse per non mostrare realmente il suo volto, che, ad essere sinceri, ancora non conosco del tutto
Bibliografia Tessler Bertrand, Sardou, 50 années ensemble, Fayard, 2015. Sardou Michel, Et qu’on n’en parle plus, XO, 2009. Sardou Michel, Je ne suis pas mort je dors, XO, Maggio 2021 Kossek Bastien, Sardou Regards, Ramsay, 2018. Bagnasco Arnaldo, Paoli, Franco Muzzio Editore, 1989. Monti Giangilberto, Maledetti Francesi, NdA, 2010. Rizzo Laura, Il cielo in una stanza, il 1960, Paoli, Mina e una canzone rivoluzionaria, GM press, 2020. Pawlowski Thomas, Les 1000 chansons preferées des Françaises, Glénat, 2020. Penisson Bertrand, Encyclopédie Sardou vol 1, Des années Barclay au chanteur de jazz, Tome 1, Ramsey, Maggio 2021 Articolo di Laura Putti su Repubblica: https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/02/12/miracolo-sardou.html?ref=search Intervista di Vianney: https://www.20minutes.fr/arts-stars/culture/2894483-20201030-plutot-genre-dire-ca-mieux-apres-mieux-avant-assure-vianney-sort-troisieme-album Articoli e trasmissioni radio e televisive consultate tratti da: https://www.clubsardou.com/pages/clubms.php, https://www.ina.fr, https://www.youtube.com, https://mytaratata.com
Articolo del
30/05/2021 -
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