Uscito lo scorso 26 novembre 2020 per Tsunami Edizioni, il libro Steven Wilson: Deform To Form a Star – Una Vita In Musica, è un progetto editoriale a sei mani tra Marco Del Longo, Evaristo Salvi e Domizia Parri.
Dopo averne parlato ampiamente nella mia recensione, che trovate sempre qui su Extra! Music Magazine, ho voluto raggiungere telefonicamente Marco per poter meglio approfondire la genesi di questo inedito e curato volume sulla storia di un giovane che, partendo dal nulla, ha rivoluzionato il mondo della musica prog, e non solo.
Il risultato è stata una bella chiacchierata, sul ruolo che Steven ha avuto nella vita di Marco, su come abbia reso possibili tanti incontri poi divenuti amicizie che ancora oggi perdurano, tra cui proprio quelle con Evaristo e Domizia, e su tanto tanto altro.
Ciao Marco come stai?
Ciao Riccardo, tutto bene.
Allora parto facendovi ancora una volta le mie congratulazioni per il libro, mi è davvero piaciuto e ho visto che comunque ha avuto in generale un buon responso. Quindi volevo iniziare chiedendoti cosa ha significato Steven Wilson per te e come siete riusciti nonostante la sua riservatezza e le tante attività ad avviare ed organizzare il vostro lavoro.
Rispondere adesso alla prima domanda è un po' più difficile poiché sono cresciuto, mi avessi fatto questa domanda 8 anni fa esatti ti avrei risposto che è l’uomo che mi ha salvato in un certo senso la vita. Parlo di 8 anni fa perché proprio allora è uscito The Raven That Refuse To Sing (25 febbraio 2013 – Kscope), in questo momento il disco solista che forse ascolto di meno, ma che contiene quella canzone, la title track, che parla di un uomo che ha perso la sorella, proprio come è successo a me nel 2009.
Quindi dovendo dire chi è Steven Wilson per me, Wilson è la persona che già era il mio idolo ed artista preferito, e che in aggiunta ha realizzato questa canzone la quale, per un ragazzo che aveva al tempo 17 anni, puoi immaginare cosa possa aver rappresentato. In un certo senso dopo aver sentito quella canzone, dopo aver letto il testo, promisi a me stesso che avrei fatto qualsiasi cosa per lui e la sua musica. Ed ora, eccoci qui 8 anni dopo, a parlare di un libro con il mio nome sopra.
Ma Steven è stato anche molto altro. E’ stato la causa di molte conoscenze, tra cui anche Domizia ed Evaristo, e di tante amicizie che vanno anche oltre la musica, con ragazzi che sento ogni giorno e che ho conosciuto proprio ai concerti di Wilson. In aggiunta ho scoperto che Steven era la voce della mia canzone preferita quando avevo sette anni, ovvero Blackest Eyes da In Absentia.
In effetti questo è uno degli episodi che hai raccontato anche nel libro e che mi ha colpito perché dimostra come a volte qualcosa, che per noi un tempo scorreva sconosciuto in sottofondo allo scorrere della nostra vita, anni dopo diviene parte fondante di conoscenze e progetti, come questo libro.
Già, allora non sapevo chi fosse Steven. Ho riscoperto quella canzone anni dopo, al tempo ero piccolo e giocavo con mio papà in camera ascoltando questo disco che aveva portato a casa, e mi piaceva, tant’è che era io stesso a chiedergli di mettere quella canzone. Crescendo, in altezza ed in età, e non potendo più giocare in camera mi è passata di mente sia la canzone che il disco, e solo tempo dopo, verso i 15 anni, ho riscoperto entrambi grazie alla collezione di mio padre.
Cercavo un gruppo, un artista, che, partendo dalla mia passione dell’epoca, ovvero il prog classico, riunisse anche tutte le altre mie passioni musicali. Non ho davvero mai avuto limiti in tal senso, passando dagli Iron Maiden ad Elisa, dal cantautorato solo chitarra e voce alla musica elettronica, dal metal più estremo alla musica classica. Dunque quello che ricercavo era proprio un artista contemporaneo che mettesse insieme tutte queste influenze, magari anche all’interno di una stessa traccia musicale.
Effettivamente Steven Wilson è in tal senso l’esponente perfetto in quanto artista che ha saputo costantemente cambiare pelle durante la sua carriera.
Esatto, basti pensare alla stessa Blackest Eyes, 4 minuti e 23 secondi dove troviamo il riff metal, la strofa ed il ritornello pop, la parte elettronica centrale, insomma c’è davvero di tutto. Wilson è stato dunque la risposta ad una mia ricerca quando avevo 15 anni, e poi più tardi qualcosa di più.
Quindi diciamo che tu lo hai scoperto quasi per caso, partendo solamente dalla tua volontà a cercare qualcuno che avesse l’essere eclettico tra le sue caratteristiche.
Si, e fatalità parlandone con mio padre mi ha rimesso il disco di In Absentia in mano, 11 anni fa ormai, ed ho riscoperto tutto. Quindi quando sento dalla critica affermazioni come “Steven si è venduto” oppure “ha cambiato genere” ecc, io non mi sento toccato per via proprio del fatto che ero fin dal principio partito con l’idea di cercare qualcuno così.
Anche io penso che questa critica sia fuori luogo proprio in virtù del fatto che Wilson è sempre stato un artista che ha spaziato fra i generi.
Infatti, lui ha espresso proprio ultimamente quale è il problema e cioè quello di aver avuto successo con dei dischi prog. Per fare un esempio, il suo primo gruppo, i No-Man, facevano una sorta di cantautorato pop. Credo ci sia una grossa parte di incomprensione su chi sia veramente Steven Wilson. Poi certo ha avuto un grosso successo con dei dischi progressive, che io ritengo forse i suoi migliori.
Si, c’è questa arroganza da parte dei “fan”, una volontà ossessiva che vuole l’artista subordinato ai propri gusti personali, quando invece io credo sia l’esatto opposto.
Spesso viene detto che lo faccia per soldi e dunque per vendere di più, ma in realtà non è neanche vero, anche perché quale sarebbe il modo per Steven per arrivare al primo posto nelle classifiche di tutto il mondo? Facendo un nuovo disco con i Porcupine Tree. Questo proprio perché il suo successo arriva quando fa del prog. L’ultimo disco ha venduto bene, ottenendo buoni risultati, però se noti ha fatto leggermente peggio di quello precedente.
Personalmente trovo “The Future Bites” superiore a “To The Bone”.
A me piace l’ultimo album, mi piacciono entrambi, non li reputo sicuramente superiori ad altre cose, diciamo che sono dischi nella media. Dovendo dare un voto darei ad entrambi un 7,5.
Anche io non li inserirei fra i miei due dischi preferiti della sua produzione solista, ma li reputo comunque degli album validi che hanno al loro interno diverse sfaccettature musicali interessanti. Esattamente, in ogni caso tornando alla domanda su come è nata questa idea del libro e su come ci siamo divisi il lavoro, bisogna tornare indietro nel tempo di molti anni, addirittura al 2008, quando Evaristo aveva già incominciato a scrivere qualcosa sui Porcupine Tree.
Lui voleva creare un libro in tre parti, una per fase. Al tempo era tra Fear Of A Blank Planet e The Incident che aveva avuto questa idea. Sostanzialmente la sua intenzione era di realizzare una parte riguardante la psichedelia, una sul lato pop e una su quello metal, chiedendo allo stesso Steven il permesso. Steven gli diede carta bianca, chiedendogli di tenerlo aggiornato sull’andamento del lavoro. Poi il progetto non è partito anche perché, Evaristo ma anche io e Domizia, non siamo scrittori di professione ed abbiamo lavorato a questo libro quando potevamo. Finchè, arrivati al 2011, quando Steven era partito con il tour solista, ci si rese conto che un libro solamente sui Porcupine Tree era ormai fuori tempo massimo e per questo Evaristo lasciò un attimo da parte tutto quanto.
Un paio di anni dopo Stefania Renzetti, una giornalista che si occupa di riviste metal e fa anche da traduttrice per la Tsunami, disse agli editori della stessa casa editrice che, in caso stessero cercando qualcuno per scrivere un libro su Steven Wilson ed i Porcupine Tree, quella persona poteva essere Evaristo. Quindi la Tsunami ha contattato Evaristo proponendogli di scrivere un libro, e la richiesta era in particolare su di un volume riguardante i soli Porcupine Tree. Lui ha acconsentito e ha chiesto a Domizia una mano per fare una specie di introduzione sulla vita di Steven in generale, che comprendesse l’inizio della sua carriera.
Questo era ancora nel 2013-2015. Il lavoro continuava a non partire, non c’era ancora una forma definita, e nel frattempo Wilson diventava sempre più grande in ambito solista. La necessità era quindi di fare un libro che non comprendesse più i soli Porcupine Tree con un’introduzione, ma che comprendesse anche la sua produzione come solista. Nel 2017 hanno chiesto a me di aiutarli.
Quindi tu sei arrivato quando il progetto del libro era già avviato.
C’era qualche pagina scritta, più che altro appunti. Con il mio arrivo abbiamo ripreso in mano il lavoro, ed io mi sono occupato del come poter scrivere questo libro, arrivando a pensare che l’unico modo per farlo in maniera coerente era quella di occuparci in maniera approfondita di tutti i progetti.
Non potevamo occuparci solo dei Porcupine Tree e della carriera solista se dovevamo creare un’opera completa e dunque enciclopedica.
Decidemmo: ogni progetto con la sua storia.
Con quest’ottica abbiamo cominciato nuovamente a lavorare, suddividendoci i progetti tra di noi. Domizia che aveva qualche appunto si è occupata dell’infanzia, dei No-Man, ed in più dei Blackfield, in quanto era stata fondatrice del fan club dei Blackfield nel 2009.
Evaristo si occupava dei Porcupine Tree ed io della carriera solista e dei progetti per così dire minori come Bass Communion, I.E.M., Storm Corrosion ecc.
Poi ovviamente questa suddivisione non è stata sempre ferrea ma anzi piuttosto labile.
Ad esempio io avevo alcuni documenti, dei libretti sui No-Man, ed alcune parti di Domizia che non erano molto approfondite le ho riprese in mano io.
Mi ero poi trovato un po' in difficoltà con i tempi dovendomi laureare verso la fine della sezione sulla carriera solista, e qui è stata Domizia a venirmi incontro occupandosi di Hand Cannot Erase e di To The Bone.
Quindi ci siamo dovuti talvolta scambiare i compiti.
Dal punto di vista specifico delle capacità abbiamo sfruttato le nostre competenze per permetterci di realizzare un lavoro ancor più approfondito.
Domizia che fino a poco tempo fa era insegnante di inglese si è occupata delle traduzioni delle interviste, dei testi e di tutto il materiale che poteva tornarci utile per il libro.
Evaristo invece si è occupato della componente archivistica, perché come presumo tu sappia lui è uno dei più grandi collezionisti del mondo Wilsoniano.
Per quanto mi riguarda invece, in quanto attualmente docente di italiano ed al tempo laureando comunque in materie umanistiche, ho fatto un po' più il lavoro sporco, ristendendo tutti gli appunti che avevamo dall’inizio alla fine per dare una forma al tutto che sembrasse coerente e cercando di non far vedere che fosse opera di tre persone diverse.
Difatti il libro scorre bene, anche se voi nell’introduzione scrivete di preoccuparvi un po' del fatto che la lettura possa apparire difficile o poco appassionante. Io ho visto una coerenza del testo dall’inizio alla fine, apprezzando particolarmente il modo in cui avete trattato quei momenti della vita di Wilson dove i suoi vari progetti si intersecavano, non ripetendovi mai e rifuggendo dunque da qualsiasi barlume di noia, anche per il non appassionato.
Ti ringrazio. Per fortuna abbiamo deciso di optare per la suddivisione in progetti, se avessimo deciso di scrivere l’intera carriera di Steven cronologicamente senza una separazione sarebbe stato un suicidio.
Pensa al 2007, quando sono usciti il live dei Blackfield e Fear Of A Blank Planet…la separazione è stata assolutamente necessaria onde evitare un gran casino.
Quindi questo è stato il mio ruolo, ho lavorato più alla fine che non all’inizio, e ti dico, per fortuna che c’è stato il lockdown a marzo.
Questo perché la scadenza per la consegna del manoscritto era il 29 marzo 2020, ed io mi ero messo a cercare di scrivere il tutto a febbraio e se non ci fosse stato il lockdown non ce l’avremmo mai fatta.
Mi sono chiuso dal 9 al 29 marzo, avendo anche da scrivere la tesi, dedicando 8 ore ad una cosa ed 8 all’altra.
Lockdown o meno non sarei uscito di casa comunque e pertanto siamo riusciti a consegnare in tempo il lavoro.
Un aspetto positivo il confinamento in casa per voi lo ha avuto.
Eh eh si, dispiace un po' per la fine, perché la scadenza era sì il 29 marzo, ma essendoci The Future Bites in uscita a giugno 2020 (poi spostato a gennaio 2021) avevamo chiesto di poter scrivere l’ultimo capitolo in quel mese ma abbiamo dovuto interrompere il libro praticamente in mezzo al nulla. Non escludo che ci potremmo rimettere mano in futuro. In sostanza posso dire che il lavoro è stato davvero lungo, pensa che il progetto definitivo l’abbiamo presentato alla Tsunami il 6 giugno 2017, lo stesso giorno in cui abbiamo anche intervistato Steven a Milano durante il tour di To The Bone.
Abbiamo lavorato per 3 anni, e alla Tsunami sono sempre stati pazienti credendo in noi. Se non fossimo riusciti a consegnare a marzo probabilmente non ci avrebbero più pubblicato, ma così non è stato e dobbiamo davvero ringraziarli. Loro stessi sono stati molto soddisfatti del risultato finale di questo nostro lavoro. Insomma tanto tempo, ma per un bel risultato.
Tanto tempo ma che appunto come dici tu ha portato ad un risultato encomiabile, essendo riusciti a raggruppare tantissime fonti diverse. Come avete fatto a discernere tra le varie interviste, recensioni, commenti, su/di Steven, considerando la mole di materiale che nel corso degli anni si è accumulato?
Molte, dal 2008 in poi, provengono dall’archivio di Porcupine Tree.it – Coma Divine, ma abbiamo cercato anche di utilizzare il più possibile quelle di Anil Prasad, fra i migliori giornalisti in circolazione con una lunga lista di interviste fatte a Steven nell’arco di ben 25 anni. Quindi c’è una coerenza nelle interviste da un punto di vista storico e poi io, da quando sono diventato fan di Wilson, cerco sempre di leggere tutte le interviste che lo riguardano, e dunque ho avuto ben presente su dove cercare.
Anche Evaristo aveva molte riviste e generalmente siamo andati a vedere quegli articoli che conoscevamo e che pensavamo fossero utili per questo libro. Altre sono frutto di ricerche, ad esempio su Music Radar per il capitolo riguardante i remix di Wilson. Ne abbiamo guardate e lette tantissime e non tutte ovviamente sono state poi inserite. In aggiunta abbiamo avuto la fortuna di avere alcune fonti dirette, personali, come quelle di Luca Benporath, che è un giornalista musicale italiano il quale per una serie di motivi negli anni 90 è divenuto amico personale di Steven, il quale ci ha concesso diverse testimonianze. Giancarlo Erra è stata un’altra importante fonte (leader della band dei No-Sound), Siamo in buoni rapporti con lui anche per il fatto di averlo intervistato più volte negli anni, ed in questa occasione ci aiutato con una testimonianza su di una cover band dei Porcupine Tree dei primi anni. E poi il fiore all’occhiello, secondo noi il contenuto più significativo, ovvero quello di Catalin Stefanescu, giornalista rumeno che ha condotto un’intervista con Steven nel 2018. Presumo che anche tu l’abbia vista.
Si e credo per voi sia stato un bel colpo riuscire a reperire la sua testimonianza in esclusiva.
Assolutamente, pensa che Steven ritiene l’intervista di Stefanescu la migliore che gli sia mai stata fatta. E quindi, semplicemente, ho deciso di scrivergli su Instagram, scoprendo chissà come che anche lui mi seguiva (forse per la mia foto profilo con Wilson). Gli ho spiegato quale fosse il nostro progetto e lui è stato davvero gentile rilasciandomi questa testimonianza bellissima.
Il suo racconto è davvero interessante ed emozionante, un punto in più a favore della completezza per il vostro libro.
Si, credo anche io sia uno dei punti migliori del libro.
Altro argomento che vorrei trattare è quello relativo alla parte fotografica del volume. A partire dalla meravigliosa foto scelta per la copertina di Rebekka Fagnani che trovo perfetta, all’interno del libro ci sono tante immagini, a partire dalle due sezioni a colori di foto relative a diversi concerti o immagini promozionali. Davvero belle sono anche quelle foto in bianco e nero delle varie locandine o album, oppure quelle che coinvolgono due pagine dando un’immagine quasi vintage a momenti di questo o quel concerto. Volevo pertanto capire come vi eravate mossi nella selezione delle foto ed in particolare cosa vi ha spinto a scegliere quella di Rebekka per la copertina.
Qui ci siamo mossi lungo tre strade. Parte delle foto sono di proprietà di Evaristo, in quanto lui le ha comprate dai fotografi dell’epoca dei Porcupine Tree, in prevalenza foto d’archivio relative agli albori della band. Altre, come quelle di Eugenio Crippa, sono state chieste in concessione all’autore per la pubblicazione nel libro, mentre una terza parte sono fotografie fatte da membri attivi del fan club, amici a cui abbiamo allo stesso modo chiesto la possibilità di pubblicazione e pagato i diritti laddove ce ne è stato bisogno.
La foto in copertina è come hai detto tu di Rebekka Fagnani, una mia cara amica ed una delle tante persone che ho conosciuto ai concerti e che ho poi fatto entrare a far parte del fan club dei Porcupine Tree. Lei fotografa di professione e le foto che ha scattato sono state fatte a Verona nel 2018 (tra cui anche quella in copertina) e a Bergamo. Ci sono anche foto di Francesca Savina, un’altra fotografa ufficiale del club.
Quella scelta per la copertina è davvero perfetta.
Si, è davvero significativa e siamo contenti di averla avuta. Riesce a dare un senso all’intero libro.
Altra cosa che volevo chiederti è il perché della scelta di “Deform To Form A Star” come titolo del libro.
L’idea è stata di Domizia, e per quanto in inglese non voglia dire precisamente quanto sto per affermare, l’idea di base è quella che il nostro lavoro sia servito a scomporre Steven in tutti i suoi progetti. Disfare in principio per poi ricomporre nel libro l’interezza della sua stella. Scandire i progetti per dare un’idea di quello che lui è come artista.
Avete nuovi progetti per il futuro?
Ci piacerebbe che questo libro girasse il più possibile, non solo in Italia ma eventualmente anche all’estero, anche perché non ci sono molti libri su Steven, per lo meno non con una visione così approfondita di tutti i progetti. E siamo arrivati ad un punto in cui, forse, vista la figura e viste anche tutte le critiche e le incomprensioni dei fan di cui parlavamo prima, dobbiamo un attimo fermarci e fare mente locale sulla sua figura.
Anche perché Steven è ormai sulla scena musicale da 30 anni e tante persone forse neanche lo sanno, un po’ perché ingannati dal fatto che, anche se non sembra, è un cinquantatreenne. Da qui la necessità di fermarci e fare chiarezza, facendo girare il più possibile questo libro.
In Italia credo che il vostro lavoro sia qualcosa di unico, anche perché non mi sembra ci sia nulla di paragonabile in libreria.
C’e’ un libro di Enrico Rocci, Il culto dell'albero porcospino. Storia, sproloqui e ricordi dei Porcupine Tree, che in realtà è una biografia vista dall’occhio personale del suo autore.
Si, ma è un volume dedicato esclusivamente ai Porcupine Tree, mentre il vostro tocca tutto quello che Wilson ha realizzato.
Abbiamo cercato di toccare tutto quanto si, ma qualcosa lo abbiamo dovuto tralasciare, cosa che ci è stata ricordata anche tramite un messaggio qualche giorno fa su facebook da parte di un lettore, il quale, facendoci i complimenti, citava anche la mancanza nel libro di una cover contenuta in una compilation.
Sarebbe stato sin troppo pesante se avessimo lasciato tutte le collaborazioni che Steven ha realizzato sui dischi esterni. Potevamo completarlo in maniera più approfondita ma alla fine abbiamo cercato di rimanere concentrati su ciò che aveva pubblicato a suo nome.
Ultimo argomento che vorrei trattare riguarda la reazione e partecipazione di Steven al libro. Il volume si apre proprio con una sua prefazione e volevo pertanto capire come ha reagito all’idea di questo lavoro ed in che modo è stato coinvolto nel progetto.
Steven sapeva che stavamo lavorando a questo progetto, ci ha dato il suo consenso restando però totalmente fuori da ogni decisione e ricevendo di volta in volta i vari aggiornamenti sull’andamento della scrittura, anche tramite Evaristo che ha un contatto diretto con lui.
Quando poi siamo arrivati all’alba della pubblicazione gli abbiamo chiesto se gli facesse piacere scrivere una prefazione, e lui ha acconsentito, scrivendo di come l’Italia sia stato il paese che per primo ha amato i Porcupine Tree e senza il quale probabilmente oggi non sarebbe divenuto il musicista professionista che è. Una prefazione che possiamo vedere come un regalo sincero in cambio dell’amore che noi fan italiani gli abbiamo sempre dimostrato. Gli abbiamo anche inviato una copia del libro, insieme alla mascherina con su scritto “Fear Of A Pandemic Planet” della Tsunami, e pochi giorni fa la moglie di Steven ha pubblicato una foto su Instagram in cui la indossava.
Pur non avendo contribuito in nessun modo al lavoro, ci ha fatto dei regali bellissimi scrivendo questa prefazione e condividendo sui suoi social l’uscita del nostro libro.
Il disegno di Barbara Mancini (illustratrice e membro della redazione del Coma Divine Italian Fan Club), che affianca la prefazione di Steven, è stato creato appositamente per il libro?
No, non è stato creato in origine per il libro. E’ una della tante bellissime immagini che Barbara ha realizzato per la fanzine che pubblichiamo in maniera autonoma in occasione dei concerti italiani di Wilson, la quale contiene interviste, recensioni e approfondimenti ed una rubrica: “Steven and the little porcupine”. Affiancare questo suo disegno alla prefazione è stata sicuramente un’ottima scelta.
Arrivati a questo punto direi che abbiamo attraversato con le tue parole tutti gli aspetti che hanno contribuito alla creazione di questo libro, e quindi Marco non mi resta che ringraziarti ancora per il tuo tempo e per il libro, senza dimenticare di fare lo stesso anche verso gli altri due tuoi compagni di viaggio, ovvero Evaristo Salvi e Domizia Parri.
Grazie a te Riccardo.
Articolo del
09/03/2021 -
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