Non solo sei una star. Non solo sei amato da milioni di persone per la tua musica. Non solo sei sulla cresta dell’onda sia musicalmente che mediaticamente.
Ti ritrovi ad essere incoronato prima come musicista e poi come portavoce di una generazione che faceva della lotta per i diritti civili la sua missione di vita. Tutto ciò a poco meno di tre mesi dall’assassinio di uno dei presidenti più discussi della storia degli States come John F. Kennedy. Bob Dylan, al secolo Robert Allen Zimmermann, era più di un semplice menestrello folk degli anni 60. La sua aspirazione da sempre è stata quella di diventare un folksinger; salvo diventare poi il folksinger. Nel 1963 viene consacrato come cantante acustico con l’album The Freewheelin’ che diviene la colonna sonora per il suo impegno più che attivo in campo politico. Scelta forse scellerata, almeno se fosse stata presa al giorno d’oggi; un cantante che usa la sua musica per la propaganda politica: ma che roba è? Con Blowin’ in the Wind e A Hard Rain’s a-Gonna Fall come punta di diamante di un album tra i migliori della sua intera discografia, Bob, unisce il suo talento e passione per la musica all’attivismo politico in difesa dei diritti civili prestando la sua musica al discorso passato alla storia di Martin Luther King a Washington in quello storico 28 di agosto nel quale lo accompagna, come sempre, Joan Baez. Bob Dylan è da sempre stato un personaggio molto discusso, anche in tempi moderni: ritirò il “Presidential Medal of Freedom”, la più alta onorificenza civile americana, dal Presidente Barack Obama alla Casa Bianca nel 2012 senza neanche salutarlo e nel 2016 fece un discorso (pare in hangover) alla cerimonia di Stoccolma mentre ritirava il premio Nobel per la letteratura, primo e unico cantautore della storia al quale viene riconosciuto un premio così prestigioso (ah, inizialmente lui manco ci voleva andare a Stoccolma).
Non proprio un personaggio facile, da sempre al di sopra delle righe. Ci può essere il presidente degli Stati Uniti, l’Accademia svedese e anche migliaia di fan che giungono da ogni dove per ascoltarti nel Rhode Island: d’altronde ha una reputazione da mantenere. Nel 1964, Dylan, aveva ormai conquistato il mondo, aveva stregato tutti quanti con la sua celeberrima Mr. Tambourine Man che lo conferma come assoluto protagonista della scena folk degli anni 60. Puristi del genere da tutti gli States lodavano il suo estro nella composizione musicale e letteraria, ricredendosi forse nel 1965. Se dovessi dire una parola che racchiuda in sé tutta la vita di Dylan potrebbe sicuramente essere sprezzante. Non è necessariamente un termine negativo, ma è la realtà dei fatti. Dopo essere stato apprezzato per la “sacralità” della sua musica decide, in appena un anno, di prendere tutto ciò che di divino aveva costruito e ribaltarlo completamente. Come? Semplice: con una chitarra elettrica, strumento lontanissimo da quello che era stato il suo sound fino ad allora.
In poco più di un anno infatti (da maggio 1965 a maggio 1966) pubblica la cosiddetta “Trilogia Elettrica”, tre album che niente avevano a che vedere col suono del menestrello dei diritti civili: “Bringing It All Black Home”, “Highway 61 Revisited” e “Blonde on Blonde” . Ma finché la rivoluzione e metamorfosi musicale avvengono in uno studio di registrazione la cosa può anche essere considerata quasi sopportabile dal pubblico, forse. Ma poteva fermarsi qua un personaggio come Bob Dylan? Ovviamente no. È una sera di metà estate del 1965 e il primo dei tre album della Trilogia è già sul mercato da qualche mese ed ha avuto (nonostante tutto) dei discreti numeri, sesto in USA e primo in UK.
Migliaia di ragazzi da tutto il Paese si sono radunati a Newport nel Rhode Island per il Newport Folk Festival, più importante festival folk della Nazione; un evento che puristi ed appassionati del genere aspettano come un bambino aspetta Babbo Natale nella notte del 24 dicembre.
Talmente importante che è stato anche il palco della prima esibizione, anche se non annunciata, di Joan Baez, per un periodo anche compagna di vita proprio di Bob Dylan. È la sera del 25 di luglio ed i 50.000 presenti attendono trepidamente l’esibizione del loro idolo, il folksinger americano per eccellenza. “Ehi ma quella è una Fender Stratocaster!?”. Dylan sale sul palco con la chitarra elettrica e la Paul Butterfield Blues Band al seguito (fino ad allora si era esibito sempre da solista) per lo sconcerto del pubblico presente. Un fulmine nel cielo sereno della musica folk. Neanche un saluto al pubblico che inizia il concerto con Maggie’s Farm e Like a Rolling Stones, col primo colpo di batteria che sa tanto di pugnalata al cuore di chi ama la musica acustica.
Talmente sprezzante del sound e allo stesso tempo contestato ferocemente dal pubblico, specialmente dopo la terza e ultima canzone Phantom Engineer, che il concerto elettrico di Newport dura appena 15 minuti, prima che Dylan torni nel backstage per ripararsi dalle urla di disapprovazione del pubblico. In quella piccola esibizione, Dylan, ha ormai abbandonato il vecchio sé consegnando la sua musica all’accattivante mondo della musica Rock. Il Folk del ragazzo riccioluto da Duluth, Minnesota, ormai non esiste più. Poco dopo eccolo tornare sul palco, stavolta in vesti classiche, con chitarra acustica e armonica e soprattutto senza band di supporto. Esegue Mr Tambourine Man prima e “It’s All Over Now, Baby Blue” poi per cercare di calmare un pubblico sempre più inferocito da questo repentino e di pessimo gusto cambio di stile.
Ma ormai il dado è tratto. In un 1965 dove il sound Rock si faceva sempre più spazio nelle classifiche e nei giradischi delle case della gente, Dylan non poteva fare altro che prendere la palla al balzo e dare una svolta clamorosa non solo alla sua musica, ma all’intero movimento Folk.
Quel sound che aveva accompagnato giornate storiche come il 28 agosto 1963, ormai, vive nei ricordi di chi ha visto un giovane dalle montagne del Minnesota farsi spazio nella musica dei grandi, che ha parlato direttamente al cuore della gente e che ha usato la sua notorietà per convogliare l’attenzione pubblica su di un tema fino ad allora un tabù negli Stati Uniti come i diritti degli afroamericani. Quel Dylan non esiste più. E, a modo suo, il 25 luglio 1965 al Newport Folk Festival si è scritta di nuovo una pagina memorabile di storia della musica.
Articolo del
16/09/2020 -
©2002 - 2024 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|