Da un po’ di tempo a questa parte c’è la stupidissima convinzione che i cantanti non debbano far altro se non, appunto, cantare. E lo devono fare parlando solo di fesserie o riducendosi alle rime “cuore- amore”, pena l’essere accusati di fare politica. “Canta che ti passa”, disse qualcuno. Partendo da questo presupposto, mi sembra abbastanza chiaro che quei (pochi) artisti che nei loro pezzi decidono di esporsi vadano tutelati e salvaguardati il più possibile. Sicuramente più di Ultimo o Tommaso Paradiso, per dire…
Proprio per questo motivo oggi parliamo di Cisco, al secolo Stefano Bellotti, ex voce dei Modena City Ramblers, che l’anno scorso è uscito con un disco stupendo come “Indiani e Cowboy” ed al momento è impegnato nel Combat Folk Tour, insieme a Francesco “Fry” Moneti, il violinista dei Modena, e Luca Lanzi, della Casa del Vento. Durante la data palermitana del tour ho avuto il piacere di scambiarci due chiacchiere, ma prima di passare all’intervista volevo parlare un attimo del concerto. Intanto parto dicendo che chi ha la possibilità dovrebbe cercare di andare a vedere una delle date di febbraio, perché ne vale assolutamente la pena: se, come il sottoscritto, siete abbastanza appassionati di musica sanguigna e sentita, è l’occasione che fa per voi. Ci troverete uno strepitoso Fry, capace di suonare il violino col wah, ci troverete Cisco che tira fuori una versione di “Terra rossa” ed “I cento passi” voce e bodhràn da paura, ci troverete Luca Lanzi che canta “Maredimezzo”, bellissimo inedito che uscirà fra qualche mese. Ci troverete uno spaccato dell’Italia dei ’90, perfettamente applicabile all’Italia di adesso. Ci troverete tanto “’900”, l’album di Cisco e La Casa del Vento, pietra miliare del combat folk, insieme ai brani che hanno fatto grandi i Modena, da “Quarant’anni” a “La banda del sogno interrotto”, passando per “Ebano” e “In un giorno di pioggia” (che noi della data palermitana abbiamo avuto la fortuna di veder cantata in duetto con la bravissima Claudia Sala), continuando con “La carretera austral” e finendo con una dolcissima “Ninnananna”. Ci troverete tutta la carnosa potenza musicale del combat folk, la sua importanza civile e politica. Ci troverete, ovviamente, “A las barricadas” e “Bella Ciao”, due cose che, di questi tempi, non guastano affatto.
Detto questo, come anticipato sopra, ecco l’intervista a Cisco.
Comincio partendo, come mio solito, “dalla fine”, dall’ultima pubblicazione. Domanda un po’ distante dall’ambito musicale: oggi, per te, chi sono gli indiani e chi sono i cowboy?
Allora, ti rispondo con la risposta che ho utilizzato quando presentavo l’album, una risposta magari un po’ semplicistica, ma efficacie. Gli indiani sono quelli che, in questo mondo moderno cercano ancora di resistere. Ed i cowboy sono quelli che continuano a non capire. Gli indiani sono la parte debole della società, che è sempre quella maggiore, i cowboy sono i potenti, che pensano ad arricchirsi sempre di più e se ne fregano abbastanza del resto del pianeta umano. Questi contrasti si ampliano e si creano dei solchi sempre più grandi, e la cosa che mi lascia perplesso per quanto riguarda il futuro è che la gente sembra sempre ignorare questo dato. Però, detto questo, credo che in qualche modo, prima o poi, verrà riequilibrato tutto.
Perché il bacio stile Breznev- Hoenecker in copertina?
Guarda, hai fatto una buona citazione, ed io ti cito anche il bacio Di Maio- Salvini, quando si formò il governo gialloverde, che è ormai storia. La copertina mi ha ispirato molto quello: mi era piaciuto questo murales che era spuntato a Roma, appunto, con Di Maio abbracciato a Salvini che si baciano in bocca. Ed il concetto mio della copertina, dell’indiano che bacia il cowboy e si abbracciano ha a che fare con tutto il disco, che parla di bene e male. E’ il significato di come bene e male vadano pari passo, vadano gomito a gomito, e faremo fatica a distinguere il bene se non avessimo il male ed il male se non avessimo il bene.
“Addà venì baffone” (il primo pezzo di “Indiani e Cowboy”, ndr) vuole essere una specie di augurio verso un ritorno del “sol dell’avvenire” o un monito riguardo ad una passione tutta italica, quella dell’uomo forte al comando?
Più la seconda! Assolutamente, non mi auguro affatto che venga un nuovo baffone, tutt’altro. Più che altro, ogni tot di tempo ne arriva uno, ed il problema dell’Italia è quello: purtroppo deleghiamo questo uomo forte, questo ipotetico “baffone” ad aggiustare i guai del paese, anche scaricandoci di responsabilità, e dando le chiavi in mano, appunto, all’uomo forte di turno. Questa cosa storicamente è successa, tralasciando il ventennio fascista, anche in tempi più recenti, e ti parlo della mia vita, partendo dal Bettino Craxi degli anni ottanta, al Berlusconi degli anni novanta, al Renzi di pochi anni fa. E adesso al Matteo nazionale, che i baffoni ce li ha e, come ha detto lui, vuole “pieni poteri” per rivoltare il Paese. E questo pensiero, nonostante lui sia convinto che sia normale dire cose del genere, mi accappona la pelle.
Passiamo alla musica: questo cambio di rotta musicale che c’è stato in “Indiani e Cowboy” viene dalla voglia di sperimentare cose nuove o viene dal fatto che iniziasse a starti stretta l’etichetta di cantautore folk?
Entrambe le cose, anche se in realtà io sono e sarò sempre Cisco, l’ex cantante dei Modena City Ramblers, cantautore folk. E questo mi sta benissimo, non mi penso come un rocker, chè ce ne sono anche troppi, in Italia, di rocker o pseudo tali. Però avevo voglia di fare qualcosa di nuovo, qualcosa che mi stimolasse nel fare un disco nuovo. E, dal momento che oggi fare un disco non è più molto gratificante a livello economico, è tutta una spesa, se devo farlo è perché intanto ho delle cose da dire e da comunicare, e poi soprattutto perché voglio divertirmi anche a sperimentare cose nuove con la mia musica. Fondamentale per me è stato, in questo disco, l’incontro con Rick Del Castillo, produttore americano dell’album. E l’opportunità di confrontarmi con un produttore americano, che vive ad Austin, in Texas, posto non banale, terra di frontiera. Il Texas centocinquant’anni fa era Messico, poi venne venduto agli Stati Uniti. Ma è ancora terra di contrasti, non sai bene dove finiscono gli Stati Uniti e dove inizi il Messico. Ecco, Austin è una città multiculturale in quel senso lì. E mi viene da pensare a Trump che vuole costruire un muro, per dividere cosa? Certi stati degli Stati Uniti sono assolutamente tanto americani quanto messicani, la cultura messicana in certe zone la fa da padrone: sentivo parlare più spagnolo che inglese, la cucina è messicana, la cultura è messicana, anche ad Austin stessa. E poi le cose si fondono, si crea il tex- mex, si creano le musiche etniche e multiculturali che a me fanno impazzire. E quindi avere l’opportunità di andare in quella terra lì, in quel paese, in quella città, per collaborare con Rick in primis e poi, se si leggono i credits del disco si vede, anche con una decina di musicisti americani che hanno suonato i miei pezzi, mi fa sentire orgoglioso e fiero di questo disco. Sai, in generale, sia dei dischi fatti coi Modena che dei miei dischi solisti dopo un po’ mi stanco di ascoltarli. Di questo qua ancora oggi non mi son stancato. Però non per merito mio: il merito va alla produzione di Rick.
A proposito di questo ritorno al combat folk… che sapore e, soprattutto, che importanza comunicativa e civile ha?
Guarda, la cosa che è nata, un po’ per gioco ed un po’ per scherzo, insieme a Francesco e Luca, è stata una mia idea: io avevo tempo, avevo preso un piccolo stacco con la mia band e gli chiesi se avessero a loro volta tempo di fare un piccolo tour di dieci/ dodici date, chiamandolo proprio “Combat Folk”, per far risaltare ed, in qualche modo, rivalutare le nostre radici comuni, che sono, appunto, quelle dell’impegno, della musica folk, che i primi lavori dei Modena e quelli della Casa del Vento hanno contribuito a creare in Italia. A loro l’idea è piaciuta e, personalmente, la cosa che mi ha colpito è che quando abbiamo proposto il tour siamo stati letteralmente assaliti da richieste di date e di gente che faceva i salti sulle seggiole perché facevamo questo tour. Quindi le dieci/ dodici date son diventate ventisei, a febbraio ne faremo alcune altre, perché ci sono state nuove richieste, e finora le date sono andate tutte molto bene. Allora ci siamo detti: “Cavolo, a distanza di quasi trent’anni, (perché noi, come Modena, “Combat Folk” lo abbiamo scritto nel ‘92/ ’93, mentre questo tour prende come pretesto i festeggiamenti per i diciotto anni di “Novecento”, scritto con La Casa del Vento) alla fine c’è ancora un sacco di gente legata a quel mondo, a quel modo di fare musica e di scrivere canzoni.” E questa cosa per noi è stata molto rinfrancante, perché nella società attuale, dove in musica la fa da padrone un altro genere, con tematiche altre ed altri contenuti, vedere un sacco di gente interessata ad un tour che si chiama “Combat Folk”, beh… mi fa ben sperare. C’è anche un po’ di nostalgia in questa cosa, lo capisco, c’è molta gente della nostra “era” che ricorda sempre “Ah, che bello, quando iniziavate coi Modena, il disco con La Casa del Vento”, però c’è anche molto interesse nel far rivivere uno stile musicale che è stato importante nell’Italia a cavallo fra i ’90 ed i primi ’00, che è andato pian piano scemando, ma che ha lasciato qualcosa di buono, perché, appunto, se c’è tanta gente ancora legata a certe canzoni vuol dire che qualcosa di buono è stato fatto.
Mi riaggancio al genere che va scemando per la prossima domanda. Negli ultimi anni, l’ “arma”, ovviamente in senso positivo, del crowdfunding è stata molto gettonata nell’ambiente del folk, penso anche agli Yo Yo Mundi ed il loro album in pubblicazione. E’ un problema della discografia, che cura poco certi generi meno mainstream, o, in qualche misura, è anche volontà dell’artista, che vuole rendere più forte il legame col suo pubblico, vuole stringere un patto di fiducia?
Le due cose vanno di pari passo: le case discografiche non esistono più, a meno che tu non sia un ragazzotto giovane, di bell’aspetto, che fa trap o rap o hip hop. Se non lo sei non hanno nessun interesse a farti pubblicare un disco già in generale, figurati per la gente di cinquant’anni che fa combat folk. E allora il punto è che i dischi costa farli: per fare un disco, per farlo bene, almeno ventimila euro vanno spesi. E quindi se uno, frugandosi in tasca, vede comunque di non riuscire a coprire le spese, c’è il crowdfunding che ti viene incontro, ed il crowdfunding ha di bello che ti mette in contatto con chi ti segue, con chi ti sostiene, e fa sentire il pubblico ancora più partecipe di quello che stai facendo. Quindi, da una parte c’è l’aiuto finanziario, che, indiscutibilmente, è importante oggigiorno, dall’altra c’è proprio il legame che si consolida con chi ti segue e ti vuol sostenere nel progetto che stai portando avanti. Io è già la terza cosa che faccio in crowdfunding, ed ogni volta che la faccio, a parte che cresce sempre di più, poi mi diverto sempre di più a farla. E quindi credo proprio che, se non andrà a scomparire per altri motivi, è una roba che continuerò a fare ed a sostenere, anche per qualsiasi progetto che mi verrà in futuro. “Oh belli ciao!” (la biografia di Cisco, ndr) è stata la prima cosa, quasi una prova, e quando mi proposero di finanziarlo con un crowdfunding non sapevo neanche di cosa stessero parlando, non capivo. Poi, alla fine, abbiam visto come è andata, il libro è andato bene, poi abbiam visto cominciare i legami, e da lì ho capito definitivamente che era una figata e siam partiti! Abbiam fatto “I dinosauri”, ed è andato benissimo, e poi, dopo è arrivato “Indiani e Cowboy”, che è stato un successo, davvero una bella esperienza.
L’ultima ed abbiamo finito: ti senti più mulo o più aquila randagia?
Allora… sono mulo, assolutamente. Aquila randagia lo sono poco: il concetto di “aquila randagia” per come è espresso nel film e nella canzone mi appartiene: insomma, lottare per dei diritti, per qualcosa, in un periodo storico importante e difficile come è stato quello della guerra in Italia è una cosa che mi è molto sentita. Però, personalmente, sono un mulo: cocciuto, testardo, a testa bassa vado contro tutto e contro tutti. E se sono qui, ancora oggi, a cinquantuno anni, a fare dischi, concerti, tour, ad inventarmi delle cose, perché questo “Combat Folk Tour” è stata un’invenzione, è proprio dovuto alla mia testardaggine: magari qualcuno a questo punto avrebbe già mollato. No, io non mollo, perché continuo a divertirmi, a fare quello che mi piace. E cercherò di farlo finchè ho forze in corpo.
Articolo del
15/01/2020 -
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