Siamo in compagnia oggi del leader e cantante dei Wandering Vagrant, Alessandro Rizzuto, per una chiacchierata sulla band, la musica, l'alienazione dell'individuo nella società odierna, mentre ci racconta della genesi di Get Lost, album di debutto autoprodotto uscito il 25 Aprile di quest'anno, sia in formato fisico che in download digitale su Bandcamp e su popolari piattaforme musicali online quali Spotify, iTunes, Amazon e Google Music.
Grazie Alessandro a nome di Extra! Music Magazine per aver accettato di rispondere a qualche domanda, puoi dirci a grandi linee come è nata l'idea di questo gruppo e chi sono i suoi altri componenti?
Ciao Riccardo e grazie ancora per la bellissima recensione e per lo spazio che stai concedendo a me e alla mia band qui su Extra! Music Magazine. Dunque, l’idea della band è nata durante la mia militanza come cantante nei Desert Rider, formazione stoner rock all’interno della quale il mio compito era principalmente quello di curare le linee vocali e i testi delle canzoni: sono sempre stato affascinato dall’idea di poter raccontare una storia, di poter far scaturire delle emozioni andando al di là degli schemi usuali della musica moderna. Il mio avvicinamento al Prog, che era iniziato durante gli ultimi anni di liceo, è culminato in una vera e propria passione per il genere grazie all’ascolto di album quali In Absentia dei Porcupine Tree e Second Life Syndrome dei Riverside: decisi dunque di cominciare a scrivere e ad incamerare delle idee quando non ero dedito alla stesura dei testi per i Desert Rider. Nell’inverno del 2014, fui costretto ad andarmene dal gruppo a causa di divergenze artistiche con il resto dei componenti: fu allora che decisi di prendere la palla al balzo e di ricominciare con un nuovo progetto che fosse vincolato fortemente alla mia persona, traendo spunto dalla mia visione musicale e filosofica della vita. Come ti dicevo, l’idea di poter raccontare un qualcosa che possa avere un riscontro nella sfera emotiva di chi ascolta mi ha sempre affascinato e la possibilità che mi ha dato il Prog di poter spaziare in termini di songwriting è stata impagabile, rivelandomi nuovi orizzonti musicali e dando così il via alle prime composizioni del disco. Per tutta una serie di coincidenze, riuscii successivamente ad entrare in contatto con Francesca Trampolini, anche lei reduce da un’esperienza musicale terminata bruscamente: ci rimboccammo le maniche e decidemmo di cominciare a cercare i restanti componenti per completare una formazione che avrebbe previsto un organico di 5 persone. Dopo un paio di anni, giungemmo al quintetto che avrebbe poi affrontato la registrazione del disco: Christian Bastianoni alla chitarra, Michele Carlini al basso e Marco Severi alla batteria furono partecipi della gestazione di Get Lost durante l’estate del 2016, assieme a me e a Francesca. Sfortunatamente, terminata questa fase, Marco e Michele decisero di lasciare il gruppo in circostanze del tutto amichevoli: al loro posto, Niccolò Franchi e Andrea Paolessi sono subentrati rispettivamente nelle vesti di batterista e bassista.
Quali sono state le tue maggiori influenze musicali e non nella stesura di Get Lost, e quanto tempo ci è voluto prima di raggiungere il risultato finale?
Sicuramente “Second Life Syndrome” è da annoverare tra i dischi che più mi hanno influenzato: la mia intenzione era porre all’interno di questa band una forte carica emotiva che soltanto un buon lavoro di arrangiamento dei pezzi può essere in grado di dare. Nella sua semplicità e linearità, il secondo full-length dei Riverside è un qualcosa che ti rapisce, con un sound moderno ma allo stesso tempo riflessivo: mi ha sempre dato la sensazione che i paesaggi sonori rinvenibili all’interno del disco potessero essere in grado di procurarmi un rifugio sicuro dalle mie debolezze, dai miei rimpianti, in parole povere da me stesso. D’altronde, non è forse vero che siamo noi stessi i nostri peggior nemici? L’idea di un percorso personale, partendo dal voler cercare di interfacciarsi con l’alienante umanità moderna (Human Being As Me) fino al voler desiderare di smarrirsi per poter ritrovare sé stessi e “la via di casa” (la conclusiva Home) è un qualcosa che trae fortemente spunto dal lavoro svolto dalla band polacca. Per quanto concerne l’ambito puramente musicale, le mie principali ispirazioni sono state i Porcupine Tree di The Incident, disco che trovo eccezionale nel coniugare atmosfere dark e opprimenti con il prog-rock dei nostri giorni, e gli Opeth pre-Heritage, senza dimenticare i Genesis di Trespass e i King Crimson, questi ultimi nello specifico per quanto riguarda l’utilizzo di alcune soluzioni compositive e di armonizzazione al limite dello sperimentale.
Come sei arrivato alla scelta di Luca "Solo Macello" per lo splendido artwork? Si è basato su tue direttive oppure ha lavorato in autonomia?
Luca è stata una scelta quasi obbligata: avevo bisogno di circondarmi di artisti, prima che di musicisti, fotografi e creativi in generale. Lui è un vero artista con la A maiuscola, in grado di incorporare un suo stile in qualsiasi cosa che disegna, senza risultare ridondante e forzato. Inoltre, è stato uno dei pochi artisti che ci ha proposto un qualcosa che non fosse fatto in CGI: in tutta franchezza, non capisco come mai le band odierne abbiano bisogno di tutto questo massivo uso del 3D. Per me ha la stessa valenza di andare al cinema a vedere un film sui supereroi: un turbinio di effetti speciali tendente il più delle volte a mascherare un prodotto artistico privo di idee e sostanza. La copertina avrebbe dovuto lasciar trasparire il messaggio di alienazione del disco, risultare etereo ma allo stesso tempo opprimente: Luca ha centrato in pieno l’obiettivo, senza che io gli dicessi nulla! Sapevo di avere a che fare con un grande professionista, perciò gli ho detto: “Luca, hai il disco, sentitelo tutte le volte che vuoi, ti passo anche i testi. Appena hai un’idea, buttala giù e fammi sapere”. Così è stato! Utilizzando un termine preso in prestito dal mondo del cinema, la sua è stata una “one shot”: buona la prima! Non ci poteva essere scelta migliore, sono davvero felice dell’immagine che Luca ha dato alla band, ci ha lasciato un qualcosa di inestimabile.
Pur non essendo forse un concept in senso stretto, l'album affronta tematiche affini lungo tutte e 7 le sue tracce, dall'alienazione nel mondo contemporaneo, alla ricerca della libertà, passando per la disillusione e la paura di perdersi in una società che non tollera la riflessione ma impone la continua assuefazione verso qualcosa di effimero. Cosa hai voluto raccontare in questi testi e quanto sono importanti nell'economia di un album di questo tipo oggi in Italia secondo te?
Apro una piccola parentesi: è incredibile come tu e pochi altri si siano accorti dell’intero filo conduttore che leghino tutte le canzoni del disco! Sono contento che almeno qualcuno abbia ascoltato in maniera approfondita Get Lost, onestamente non ci speravo più ahahah! Hai detto bene, quello di cui si parla in questo disco è di un percorso: è stato quasi inevitabile, visto che la prima metà del lavoro è stata arrangiata durante un periodo non facile della mia vita e la seconda parte, invece, ha coinciso con tutta una serie di cambiamenti radicali che ho deciso di intraprendere. In questo album di debutto ciò che ho voluto raccontare è che, nonostante il nostro lavoro, i nostri amici, i nostri amori, rimaniamo in tutto e per tutto degli esseri umani, con le nostre debolezze e i nostri momenti di smarrimento: non siamo delle macchine e talvolta ci dimentichiamo di quanto possa essere terribile rimanere isolati (di gran lunga diverso rispetto al bisogno di stare da soli, che è di per sé una scelta e non un’imposizione) e circondarsi nel corso della nostra esistenza di tanta vacuità, esattamente come avviene al giorno d’oggi. Da qui, l’esigenza di prendere e resettare tutto, se necessario, per ritrovare ciò che ci rende autentici e unici. Nella logica del disco è stato importante affrontare tematiche così profonde, visto che il Prog italiano sembra a tratti quasi auto-referenziale e non riesce più a suscitare quelle emozioni e a narrare quelle storie in cui gli ascoltatori si possono riconoscere, incuriosendoli e avvicinandoli conseguentemente al genere. Fortunatamente, la tendenza è al rialzo: sto venendo a conoscenza di tantissime band che hanno molto da dire nei loro lavori. Un esempio su tutti in Italia da annoverare, a mio modesto avviso, sono i Kingcrow.
So che avete già portato live il disco in due date, dove si sono svolte e come è stata la risposta del pubblico presente? Sono in programma nuove serate?
Le due date a cui fai riferimento si sono svolte all’Officina 27 di Subbiano, in provincia di Arezzo, e al Wally’s Garden Pub di Chianciano Terme. La risposta del pubblico è stata più che positiva, anche se si sono trattate di vere e proprie date di “rodaggio” della formazione, essendo tutti i componenti accomunati dal crudele destino di non essere saliti sul palco da diversi anni a questa parte eheheh. Al momento, abbiamo un’altra data prevista per l’8 dicembre al Free Revolution Club di Città di Castello: essendo un locale maggiormente orientato verso la musica live, può sicuramente essere visto come un primo banco di prova per i Wandering Vagrant, ma se tutto andrà come sono andate le prime due date, possiamo dormire sonni tranquilli!
Grazie ancora del tuo tempo Alessandro, considerazioni finali?
Grazie a te, sia della splendida recensione che dell’intervista, speriamo in futuro di avere a che fare con altri critici e giornalisti che abbiano compreso appieno il concept del disco come te, perlomeno me lo auguro ahahah
Articolo del
20/11/2018 -
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